La stanchezza

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L’ho già detto, ma è il caso di ripeterlo: progressismo è un termine tanto vago, e tanto pieno di definizioni, che sarebbe meglio cancellarlo dal vocabolario delle stelle. Certo, è una parola che, senza invadere il campo altrui, il campo di chi si è accaparrato da decenni un’ala del Parlamento e del pensiero politico, permette di stare in un’alleanza di partiti che combattono questo governo reazionario.

Lo stesso dicasi per le parole “cambiamento” e “rivoluzione”: esse non indicano una meta, un modello di società, e possono essere usate da chiunque per carpire la fiducia degli animi radicali. Ecco perché un M5S semplicemente progressista si presta a confondere l’ansia di chi attende risolutive trasformazioni sociali, di chi ha a cuore il destino dell’ambiente, di chi venera il razionalismo nelle applicazioni della tecnica e nei rapporti umani.

Ma è venuto il tempo di indicare con precisione gli obiettivi della nostra politica, è venuto il tempo di precisare in dettaglio il tipo di società in cui ci va di vivere: mostrando la quantità di spazio da assegnare alla dimensione pubblica, a quella privata, e infine a quella personale. Di questo parleremo più diffusamente un’altra volta, ma per ora dobbiamo decidere se il Movimento deve affidarsi alla democrazia e ai suoi processi, oppure alla fiducia cieca, come stanno facendo più o meno consapevolmente le fazioni che si affrontano confidando di più nel Garante o nel Presidente.

Per conto mio suggerisco di confidare nel processo decisionale democratico, senza scappatoie, deroghe, o contingenze. Suggerisco di andare dritti al cuore del problema, cioè: chi vuole riformare il partito deve parlare di democrazia non delle rotonde sotto casa. E mi domando come mai, pur essendo a tutti chiaro che le sfortune elettorali del Movimento dipendono dalla cattiva informazione (dallo stuolo di samurai padronali che dopo qualunque esito elettorale giubilano all’insuccesso pentastellato), nessun contributo alla Costituente ha parlato di fondare un canale televisivo

. A nessuno è venuto in mente che l’unico modo di temperare il potere mediatico è edificare un contropotere in cui i cittadini si possano riconoscere e fidelizzare. Sì, ci vogliono i soldi, i compromessi, il tempo, eppure ai tempi del blog di Grillo erano in molti quelli che volevano trasformare la “Cosa” in tv.

Giuseppe Di Maio