Da quando la scorsa primavera il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha annunciato pubblicamente l’intenzione di rivedere i programmi scolastici, in particolare quelli di storia (e geografia), il mondo della scuola, e degli storici, è in subbuglio.
Docente universitario di diritto romano, già senatore della Lega nella scorsa legislatura e responsabile Scuola di Alleanza nazionale al tempo di Gianfranco Fini, lo scorso maggio Valditara ha dichiarato che le scuole primarie dedicano troppo spazio ai dinosauri, troppo poco alle vicende storiche risorgimentali, alla Guerra fredda e al terrorismo. A cosa fa riferimento il ministro? Evidentemente a un tema molto dibattuto risalente all’ultima riforma scolastica che, più di dieci anni fa, ha reputato pleonastico, persino ridondante, ripetere per due volte consecutive, rispettivamente nella scuola primaria e secondaria di primo grado (per capirci: elementari e medie) lo studio dell’intero ciclo della Storia dalla preistoria al Novecento. Motivo per il quale oggi nelle scuole elementari italiane i bambini studiano la storia fino all’alto medioevo, mentre alle medie il programma prevede lo studio del basso medioevo fino alla caduta del Muro di Berlino.
Si potrebbe osservare che un bambino di 7-8 anni non ha ancora sviluppato un adeguato senso dello spazio e del tempo tale da consentirgli di comprendere il senso del Risorgimento italiano o della Seconda guerra mondiale, sia pure narrati in termini semplici e schematici, mentre lo studio dell’evoluzione della specie è per lui un’ideale introduzione alla dimensione temporale (e spaziale) della Storia. Altrettanto convincentemente si potrebbe sostenere, d’altronde, che festeggiare il Giorno della Memoria senza avere conoscenze di base sulla storia del Novecento non abbia alcun senso. Opinioni (più che legittime) a confronto su cui il ministro ha deciso di prendere posizione.
Il cuore dell’annunciata riforma di Valditara sembrerebbe risiedere però, più che nella riformulazione delle scansioni temporali per lo studio della storia, nell’insegnamento di una “nuova” Storia incentrata attorno al concetto di identità italiana. “Non c’è futuro senza identità”, ha twittato il ministro lo scorso marzo in coincidenza con l’annuncio della riforma. “Studiare più Storia significa studiare meglio l’identità italiana”, ha ribadito poco dopo. Non proprio una novità considerando che da almeno due decenni i ministri dell’Istruzione dei governi italiani si scontrano ideologicamente, oltre che politicamente, a suon di proposte identitarie vs. proposte globaliste. A Tullio De Mauro si oppose Letizia Moratti, a Moratti rispose Giuseppe Fioroni, e a quest’ultimo replicò Mariastella Gelmini, ognuno con un’idea diversa di come impostare lo studio della Storia a scuola. Francesco Profumo, l’ultimo della fila, abbracciò nel 2012 l’approccio globalista di Fioroni ma solo nella scuola primaria, quella che ora Valditara vuole riformare riprendendo il testimone lasciato da Letizia Moratti nel 2004, di cui peraltro era stretto collaboratore. D’altra parte, come pretendere che la destra non faccia la destra.
Dappertutto in Europa e nel mondo la destra sta cavalcando la reazione identitaria successiva alla sbornia di inizio secolo nella quale i cantori della globalizzazione hanno prospettato le magnifiche sorti e progressive di un mondo sempre più integrato e cosmopolita, dimenticando l’inevitabile corollario di diseguaglianze ed emarginazioni sociali portate con sé dal processo di crescente interdipendenza economica e finanziaria tra le diverse parti del mondo.
Giorgio Caravale


