La strana pietra incisa del Tesso di Coassolo

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COASSOLO – Il toponimo “Tesso” (ruscello locale, in dialetto Tes) è di origine incerta; potrebbe derivare dal francese tesson (coccio, vaso di terra), oppure più probabilmente dal celtico tees (nome proprio di fiume). Infatti in questi luoghi è testimoniata la presenza di popolazioni celtiche, di cui, accanto a reperti storici, sono giunti fino a noi anche arcaici miti, leggende e fantasie legati a sacrifici umani e all’adorazione del sole.

Alcuni decenni fa nei pressi del Pian dij mort (piano dei morti) di Coassolo è stata rinvenuta per caso una grossa pietra incisa finora non completamente interpretata, che – così come ha suggerito il Cesmap di Pinerolo – sembra avvalorare questo luogo come un antico percorso devozionale segnalato da un “calvarietto” (XVI-XVII sec) consistente in una croce incisa su pietra in un luogo posto nei pressi di un “cimitero momentaneo”, dove veniva posata la salma bloccata dalla neve in attesa di essere portata a valle.

Riguardo a questo luogo, lo studioso locale Gianni Antonietti ricorda e sottolinea due fatti importanti. Nei tempi andati, probabilmente prima del Novecento, furono rinvenute in un’area limitrofa, nella parte più fredda e bassa della valle, alcune tombe – poste sotto pietre piantate verticalmente e forate – con antichi guerrieri sepolti, in pochi anni devastate e trafugate, di cui oggi non rimane più nulla. Inoltre è possibile verificare come questo sentiero dei morti porta direttamente a Gisola, luogo noto come sede di un tempio pagano di adorazione del “dio sole”: un passato che qui ha chiaramente influenzato il successivo rito cristiano della sepoltura; parte del sentiero veniva infatti usato per le salme cristiane portate al “calvarietto”.

Ritornando alla grossa pietra incisa, essa non è stata ancora del tutto decifrata; oltre a quanto già detto, potrebbero esservi altre spiegazioni. Su di essa si possono, infatti, notare alcune caratteristiche che meriterebbero approfondimenti da parte di studiosi della materia. Cosa che è stata in parte promossa affidando questo compito anche ad alcuni archeologi e ricercatori di Collegno.

Questa grande pietra, non del tutto visibile, essendo ancora in parte interrata, nella superficie venuta alla luce misura 70/90 x 150/170 centimetri. In primo luogo si nota una incisione cruciforme – il che parrebbe sottintendere la veridicità del “calvarietto” – simile per altro a quelle identificate in ritrovamenti analoghi riscontrati in altre valli montane, ma che qui potrebbe assumere altri significati. Innanzitutto potrebbe essere – se risultasse di origine preistorica – una figura antropica di origine iberica, ricorrente anche nell’iconografia arcaica del Monte Bego (Alpi Marittime, Valle Roia, prima del 1947 in provincia di Cuneo). Si ricorda che il segno cruciforme a “phi”, generalmente e comunemente viene considerato antropomorfo ed identificato con l’essere umano (cfr. Jorio “In principio era la pietra” p. 47). Un segno cruciforme analogo a quello posto sulla “pietra misteriosa”, ma non uguale, si ritrova nella Grotta della Masca di Chiampernotto di Ceres (incisione ottenuta a scalpello).

Potrebbe, ancora, essere un comunicato/avviso, teso a trasmettere un messaggio a terzi, com’era d’uso, considerato anche che è seguita da numeri e lettere; infine, potrebbe indicare un segno di confine: “fines”, ovvero, una perimetrazione di proprietà.

Proseguendo con un’attenta analisi, si notano dei segni che sembrerebbero delle lettere e/o numeri che potrebbero essere letti come una data: 1781, oppure «i78i», ed anche: «i, segno d’angolo, i»; numeri e lettere a loro volta seguiti poi da una “M”, o una “N”, e/o una “I” e due “V” ovvero una “W”, il tutto, come detto, di difficile lettura e difficile interpretazione. Il segno antropomorfo cruciforme, le lettere ed i numeri e quant’altro detto, sono racchiusi in un grande rettangolo graffiato nella stessa pietra a mo’ di cornice.

Definire questa pietra strana o misteriosa, per un profano, non è azzardato, considerato anche che un amico archeologo ha precisato che occorre studiarla bene prima di potersi esprimersi compiutamente.

Infine, parrebbe che questo masso non sia tutto in quello che appare, ovvero che continui in lunghezza dentro la terra ed abbia un seguito che sarebbe interessante anch’esso da approfondire.

Insomma, tra tante domande che quella vista pone, si possono trovare solo alcune risposte (poche e non chiarissime), restando comunque molti i dubbi di tipo storico sul perché e per come di quella presenza, sulla sua origine e sulla sua non certa datazione.

Si ringrazia Jessica Liberti per la preziosa collaborazione.

Riferimenti:

<> Piercarlo Iorio, “In principio era la pietra”, Torino, Edizioni Eda;

<> Provincia di Torino, Museo Nazionale della Montagna (TO), “Arte rupestre nelle

Alpi Occidentali”, Torino, 1988;

<> Ausilio Priuli, “Incisioni rupestri nelle Alpi”, Torino, Priuli e Verlucca, 1983.

Franco Cortese    Notizie in un click