Quando ho appreso dell’ultimo volo di Felix Baumgartner, l’uomo che ha danzato col vuoto e infranto il muro del suono, avvenuto a poca distanza dal mio studio nelle Marche, avevo di fronte questo quadro con una navicella che solca il proprio universo ed ho pensato d’istinto ai nostri ambiti, apparentemente distanti ma collegati: lui l’esploratore dei limiti fisici e delle altezze stratosferiche, io delle profondità emotive della pittura, come se fossimo impegnati nella stessa identica missione di spingere al massimo questi talenti sulla soglia dell’assoluto.
Entrambi mossi dal desiderio di metterci alla prova ed essere – in una società che, come definisce l’individuo lo delimita nel suo ambito – “imprendibili” non classificabili come uomini, in quanto chiamati alla stessa primordiale esplosione di vita e di volontà.
Baumgartner si è ha dedicato a trasformare il volo in un’arte di precisione e coraggio: ricordo la sua preparazione per il salto dalla stratosfera, condotta con un’équipe di scienziati e ingegneri, non come un atto spavaldo, ma come culmine di una disciplina ferrea, di uno studio rigoroso.
Allo stesso modo anche quando si fa arte visiva, prima di compiere ogni “salto” creativo, ci si prepara con la stessa meticolosità: ad esempio nella mia “équipe” ci sono i grandi filosofi, i mistici e gli uomini di valore della storia, “l’addestramento” è la disciplina quotidiana.
Entrambi proviamo a testimoniare che ogni impresa non si compie in cerca di riconoscimento, ma in risposta ad un modo di essere, che contempla una dedizione che non ammette scorciatoie.
Il momento cruciale è il passo nel vuoto, per Baumgartner, è stato l’attimo in cui, sul “bordo dello spazio”, si è lasciato cadere nel silenzio assoluto della stratosfera, un uomo solo di fronte all’immensità del cosmo, per poi accelerare fino a superare la velocità del suono: trentaquattro secondi per toccare la velocità di Mach 1. Questo mi sembra il parallelo più potente e inedito con l’atto creativo, l’artista, di fronte alla tela – il proprio personale “vuoto” – compie lo stesso salto.
Per me il “gesto pittorico”, la sprezzatura decisa e senza ripensamenti, è un modo per entrare in uno stato di flusso in cui l’intuizione supera la velocità del pensiero razionale. Come Felix si è affidato alla scienza per sopravvivere alla fisica del volo, così io mi affido alla “centratura interiore” per non perdermi nella vertigine della creazione, in quanto la traiettoria perfetta dipende da una fusione tra controllo e abbandono.
Questa è oggi la natura degli esploratori: lui non si è accontentato d’essere un paracadutista; è diventato un base jumper, un uomo-jet, un pilota di auto da corsa, non era definibile da una singola disciplina, ma dalla sua fame di superarsi. Allo stesso modo un vero artista è un polytropos è colui che rifiuta di essere racchiuso in una singola etichetta. E questa sana inquietudine non è insofferenza, ma segno di uno spirito che non si identifica con le imprese compiute, ma con l’atto stesso dell’andare oltre.
La nostra missione, in definitiva, è la medesima: portare sulla Terra una nuova prospettiva, Baumgartner con il suo salto ha permesso a milioni di persone di sperimentare, anche solo per pochi minuti, l’overview effect: di contemplare la visione del nostro pianeta come un’unica, seducente dama blu, che dissolve ogni conflitto nella sua bellezza.
Mentre io affronto “l’alta quota” dell’ispirazione da cui è possibile scorgere l’unità del reale, la trama misteriosa che collega tutte le cose, entrambi, l’esploratore del fuori e l’esploratore del dentro, siamo in cerca delle prove della totalità.
Felix Baumgartner per quanto mi riguarda non ha terminato il suo volo toccando la mia terra, bensì mi ha comunicato che certe energie non si estinguono ma si trasmettono. Quel suo orientamento indomito a osare, ha in me alimentato la convinzione che la sua impresa da fisica sia ancor più un fatto mentale, a perenne esplorazione dei cieli interiori che non avranno mai fine.
Ora che si avvicina la notte di San Lorenzo, con la discesa delle Perseidi, esprimiamo un rinnovato desiderio di felicità – come è inscritto nel nome Felix – come tutte le volte che ci torna in mente una persona che ha lasciato al suo passaggio una scia luminosa. M.V.


