L’amaro paradosso delle nostre tasse che puniscono i cittadini più deboli

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Il socialista Matteotti e il liberale Einaudi condividevano l’idea che le tasse non solo fossero necessarie perché senza risorse non può esserci nessun programma di governo e non può essere raggiunto nessun obiettivo, ma fossero lo strumento per ridurre le diseguaglianze: non tanto tramite forme di redistribuzione diretta, che pure possono essere necessarie, quanto tramite un’offerta robusta di beni pubblici, di infrastrutture materiali e sociali, che consentano anche a chi ha meno risorse individuali non solo di farcela, ma di migliorare le proprie condizioni e di partecipare pienamente alla società.

Per questo erano a favore della progressività nella tassazione basata su regole e meccanismi trasparenti e fortemente avversi ad ogni forma di elusione, trattamento di favore, contrattazione, secondo il principio da ciascuno secondo le sue possibilità e a ciascuno secondo i suoi bisogni. Compito dello Stato, tramite le sue norme ed una amministrazione efficiente, è garantire non solo la prima parte di questo principio, ma anche il passaggio alla seconda: trasformando, appunto, le tasse in beni pubblici, in risorse accessibili secondo il bisogno.

Un’idea di Stato, quindi anche di tassazione, cui l’Italia è arrivata solo con la Costituzione repubblicana, come ha ricordato Ruffini ieri su questo giornale parlando della attualità del pensiero di Matteotti sul fisco e anche delle sue critiche al sistema fiscale italiano del tempo, frammentato e diseguale. Critiche che valgono, con qualche aggiornamento, anche oggi, nonostante la grande innovazione introdotta con l’imposta personale progressiva (Irpef) nel 1973, che avrebbe dovuto ricomprendere, appunto in un’ottica di progressività, tutti i redditi. Sappiamo, infatti, che non è così. Alcuni redditi – di capitale, ma anche la casa – sono tassati a parte e diversamente, oltre a poter essere oggetto di piccole o grandi elusioni (la riforma del catasto auspicata da Matteotti, ad esempio, ancora latita).

Ultimamente anche il reddito da lavoro autonomo gode di un trattamento diverso, e di maggior favore, da quello dipendente che, come ai tempi di Matteotti e Einaudi, continua ad essere quello su cui grava maggiormente il prelievo fiscale. Purtroppo nella situazione odierna il principio «da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni» appare solo parzialmente realizzato e anzi indebolito sia nella prima che nella seconda parte.

Chiara Saraceno