L’America come la conoscevamo non è in crisi. È finita. Con essa il mondo americano. L’umanità non è né sarà a stelle e strisce.
Ma l’America ha ancora le risorse per restare in testa al gruppo. O per immaginarsi di esserlo. Per intendere, obbligatorio ripartire dallo zenit del progetto America per scivolare verso il nadir, ammesso che la superpotenza abbia davvero toccato il fondo. E noi altri occidentali con essa.
Il regime semiglobale che dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano modellato su sé stessi non comprendeva solo l’Occidente. Includeva il nemico sovietico, che si legittimava in quanto antiamericano. E ne era segretamente gratificato. Si parametrava sull’egemone, di cui quale alter ego era il super-satellite. L’altra faccia della stessa Luna.
L’Unione Sovietica era ricompresa dagli Usa nella medesima equazione mondiale, espressa nel contenimento reciproco dei due troppo asimmetrici rivali, all’ombra della loro unica simmetria, la bomba. A Washington vigeva il postulato di Eisenhower: niente di peggio che sfidare l’Urss nell’ennesima guerra per finire tutte le guerre perché ne usciremmo comunque sconfitti. Soprattutto se vincessimo.
Dovremmo assimilare uno spazio immenso che finirebbe per assimilare noi, sfigurandoci in Stato caserma. Fine del jeffersoniano “impero della libertà” oppure fine del mondo. Non un’alternativa invidiabile.
Il suicidio sovietico, che l’ultimo presidente adulto degli Stati Uniti, George Herbert Bush, cercò di sventare fino a cinque minuti dopo la mezzanotte, sembra dare ragione a Eisenhower. “Ora siamo tutti sovietici”, stabilisce l’americanizzato storico scozzese Niall Ferguson, che nella piaga del wokismo legge la rovina della patria adottiva.
Butler, Pennsylvania (Stati Uniti): Donald Trump e Elon Musk durante la campagna elettorale
Nel 2020 il suo collega di Princeton Harold James aveva già diagnosticato la decomposizione dell’America tardo-sovietica. Oggi auscultando il cuore depresso del potere washingtoniano assediato dal vendicativo ritorno di Trump scopriamo che tende alla tachicardia, scandita da extrasistoli patologiche. Sintomi di pensiero disperato e finale che invita a giocarsi il tutto per tutto. Suona più o meno così: “Non assisteremo inermi al nostro declassamento. Faremo la guerra alla Cina, se serve anche alla Russia. Perché? Perché sì. Certo non per assimilarne il miliardo e mezzo di umani”.
Lucio Caracciolo



