Una delle accuse che Trump rivolge al governo venezuelano guidato da Maduro, successore del più carismatico Hugo Chávez, è di essere un esportatore di droga. Peraltro gli Stati esportatori di droga sono altri: Colombia, Perù, Bolivia, Messico, Afghanistan, Marocco, Myanmar, Laos, Paesi Bassi, Belgio.
In realtà il Venezuela è stato oggetto di interesse dei soliti noti quando si scoprì che aveva le più grandi riserve petrolifere del mondo. Allorché, nell’Ottocento, era il più grande produttore ed esportatore di carne nessuno se lo filava. Così, come succede spesso nella vita degli Stati e anche degli uomini, quello che sembrava un buon affare si rovescia nel suo contrario. È stata la scoperta dei giacimenti petroliferi la dannazione del Venezuela, perché ha attirato l’attenzione degli americani e di altri.
Il vero scopo di Trump è quello di rovesciare Maduro e impadronirsi così delle riserve petrolifere venezuelane. Ha definito Maduro “un presidente illegittimo, che guida un governo illegittimo”. Affermazione che non osò fare quando il presidente del Venezuela era Chávez, troppo carismatico e popolare. In verità in Venezuela si tengono regolari elezioni e sono stati gli americani a tentare un colpo di Stato con Juan Guaidó, “il giovane e bell’ingegnere” come lo definiva la stampa internazionale, mentre Maduro era e resta “il dittatore Maduro” (quando i quotidiani italiani citano Maduro lo definiscono regolarmente “il dittatore Maduro” anche se non lo è affatto, perché le guerre, oggi, si fanno anche col linguaggio, Afghanistan docet).
Ci furono scontri fra sostenitori di Maduro e sostenitori di Guaidó, con 37 morti, ma nessuno di questi morti fu responsabilità della polizia che non sparò un colpo. Ora io mi chiedo in quale Stato un golpista resta a piede libero come fu per Juan Guaidó. Nella democratica Spagna gli indipendentisti catalani furono messi al gabbio per sette anni e tuttora il loro leader, Puigdemont, è costretto all’esilio. Per il Venezuela, invece, si dà il premio Nobel per la Pace a una come Maria Corina Machado che si è schierata proprio a fianco dei golpisti.
In realtà, la narrazione del Venezuela esportatore di droga è una favola, casomai esporta petrolio, forse anche con metodi disinvolti per sostenere la popolazione impoverita dalle infinite sanzioni, inflitte non solo dagli Stati Uniti, ma anche da Gran Bretagna e da quel fantasma che è l’Unione europea che si fa viva solo quando è morta: divieto di comprare nuove obbligazioni, divieto di commerciare su obbligazioni esistenti, congelamento degli asset di Maduro negli Usa, divieto di intrattenere relazioni commerciali con Maduro, embargo sulle armi e sulle attrezzature che potrebbero essere utilizzate a fini di repressione interna, divieto di viaggio e congelamento dei beni per le persone inserite nell’elenco (il metodo è sempre lo stesso, quello usato, per esempio, con l’Iran: prima si impoverisce un Paese con le sanzioni, si crea quindi un malcontento interno e in questo modo si prova a rovesciare il regime esistente).
Ma, chiarito tutto questo, ciò che manda su tutte le furie gli americani è che il Venezuela, insieme al Brasile di Lula, sia rimasto l’unico Paese socialista, “il socialismo bolivariano”, appunto, del subcontinente centro-americano (la Cuba degli eredi di Castro è comunista, il che è un’altra cosa, Che Guevara la lasciò per andare a combattere un’altra guerra, non sua, in Bolivia, proprio perché Cuba aveva preso questo indirizzo totalitario).
Ma, mentre il Brasile è difficilmente attaccabile perché geograficamente lontano dagli yankee e dai loro interessi, il Venezuela è lì, quasi ai confini degli Stati Uniti. Toglierlo di mezzo sarà quindi più facile. Se poi Trump, come pare abbia intenzione di fare, occuperà militarmente il Venezuela ci sarà, per usare un’espressione di Alessandro Orsini, la “sirianizzazione” del subcontinente centro-americano, perché gli attori in gioco saranno diversi e molti, dagli Stati che simpatizzano per il “socialismo bolivariano” a quelli, molto più numerosi, decisi a eliminarli dalla faccia della Terra.
Massimo Fini


