L’autismo non è solo dei bambini: raddoppiano i casi tra i 15 e i 39 anni

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Secondo un’analisi globale sui dati del Global Burden of Disease (GBD), appena pubblicata sulla rivista Frontiers in Public Health, esiste una vera e propria ‘crisi silenziosa’ dell’autismo nell’età adulta

Non se ne parla. È un fenomeno sommerso che coinvolge milioni di persone: tra il 1990 e il 2021, il numero globale di individui con un Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) nella fascia d’età 15-39 anni è salito da 17,52 milioni a 24,13 milioni.

Un aumento che, anche se legato in parte alla crescita demografica e a una migliore capacità diagnostica, impone una riflessione su quanto siano inadeguati i supporti destinati a questa fascia della popolazione. È questo uno dei temi affrontati durante il 50° congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria (SIP), in corso a Bari fino a sabato.

L’autismo

Quando parliamo di autismo ci riferiamo a un insieme di alterazioni del neurosviluppo eterogenee caratterizzate da una comunicazione e interazione sociale compromesse e dalla presenza di interessi limitati e di comportamenti ripetitivi. La socialità diventa quindi complicata sia nell’infanzia ma anche quando si cresce.

“L’autismo non riguarda solo l’infanzia, ma è una condizione che accompagna l’individuo per tutta la vita – spiega Liliana Dell’Osso, presidente SIP, professore di psichiatria all’Università di Pisa –. I bambini autistici diventano adulti e spesso lo stesso autismo resta invisibile fino all’età adulta. In molti casi, queste forme nascoste emergono solo di fronte a situazioni stressanti o cambiamenti importanti, soprattutto nelle donne, che imparano precocemente a mascherare le proprie difficoltà comunicative e relazionali, attraverso strategie di camouflaging”.

Le forme ‘invisibili’ di questa condizione rendono sempre più difficile fare una diagnosi.

“Infatti tutto questo ostacola il processo diagnostico e, di conseguenza, la presa in carico dell’adulto con l’autismo”, chiarisce Emi Bondi, presidente uscente SIP e direttore del DSM dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Persone che si trovano quindi spesso a gestire da sole il problema senza alcun tipo di supporto.