CORRADO SFORZA FOGLIANI, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE DELLE BANCHE POPOLARI, CONDIVIDE, CON IL COLLEGA E AMICO BANCHIERE E GIORNALISTA BEPPE GHISOLFI, CONSIDERAZIONI IMPORTANTI SUL DECRETO LIQUIDITÀ
Gli istituti di credito, in piena emergenza pandemia, oltre a dover garantire il servizio essenziale della continuità del rapporto con la clientela, non solo via internet ma anche presso le sedi fisiche e le filiali, si sono dovute assumere in toto, al cento per cento, l’onere della impopolarità di spiegare il “vero” contenuto del famoso decreto legge liquidità. Ossia, che automatici non sono i finanziamenti, né tanto meno gli stessi sono a fondo perduto, ma tutt’al più è automatica la garanzia pubblica, ma solo dopo il doveroso – ai sensi di legge – esame del merito creditizio che rimane un obbligo in capo agli istituti di credito, anche per i famosi tagli non superiori a 25.000 euro.
Sono queste le riflessioni che Corrado Sforza Fogliani, Presidente dell’associazione delle Banche popolari, ha affidato a un bellissimo editoriale contenente una serie di considerazioni espressive di un pensiero condiviso con l’amico e collega Banchiere e giornalista Beppe Ghisolfi, peraltro suo biografo nel best seller “Banchieri” edito da Nino Aragno.
Sforza Fogliani, avvocato scrittore e a capo della popolare di Piacenza, ha spiegato passo per passo, la fasi – previste proprio dal decreto liquidità del governo Conte – che non rendono possibile alcuna erogazione automatica o immediata di finanziamenti anche di piccolo importo, e che impongono a banchieri e bancari la valutazione della cosiddetta affidabilità o merito del cliente, a pena (in senso proprio penale) del rischio di incorrere in reati in caso di insolvenza o di non limpidezza (ai fini anche della legislazione antimafia) del richiedente.
Alle banche, spiega amareggiato Sforza Fogliani, si chiede velocità dalla politica, ma allo stesso tempo prudenza dalle autorità giudiziarie e di vigilanza chiamate ad applicare le leggi scritte e votate dalla politica stessa.
Con un doveroso inciso finale, che ancora una volta unisce i pensieri di Sforza Fogliani e Ghisolfi: siccome lo Stato, tramite l’agenzia delle entrate, conosce le “vite degli altri”, e i codici iban di ogni italiano, perché non provvede esso medesimo a fare giungere per tale via, diretta e velocissima, i famosi 25.000 euro? Non sono rischiosi e sono garantire al cento per cento, come si è sentito dire più volte nei dibattiti televisivi da esponenti politici di tutti gli schieramenti.
Una soluzione, questa, che avvicinerebbe l’Italia a Paesi come Germania e Gran Bretagna che, pur avendo dovuto affrontare la recessione da pandemia, hanno permesso di salvaguardare il capitale circolante delle aziende e il reddito minimo vitale dei lavoratori costretti alla quarantena e per l’intero tempo di durata della stessa.


