LE CONSEGUENZE AMBIENTALI DELLA GUERRA IN UCRAINA

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Le guerre non causano solo danni diretti, facilmente intuibili, ma possono avere anche gravi conseguenze per l’ambiente e dunque provocare una devastazione molto più estesa nello spazio e nel tempo di quanto si potrebbe pensare in un primo momento

In particolare, per quanto riguarda l’Ucraina, il pensiero corre indubbiamente alle centrali nucleari, da subito al centro delle preoccupazioni internazionali. Oltre ai rischi per l’interruzione di energia, che potrebbe bloccare il raffreddamento delle 20 mila barre di combustibile esaurito ancora immagazzinate a Chernobyl, ci sono pericoli di movimentazione di polvere radioattiva da parte delle operazioni militari.

Se la bara d’acciaio costruita per contenere i resti del reattore numero 4 venisse danneggiata potrebbero esserci conseguenze devastanti. Un incidente a Zaporizhzhia, il nono impianto più grande del mondo, equivalente a 20 Chernobyl, avete idea di cosa potrebbe causare? Ma non c’è solo la minaccia nucleare a spaventare. L’Ucraina è un paese fortemente industrializzato: centrali idroelettriche, dighe, impianti industriali soprattutto minerari, moltissimi siti di smaltimento di rifiuti pericolosi.

Come quello distrutto a Mariupol. Siti industriali di questo tipo quando bombardati diventano delle vere e proprie bombe ecologiche. Provate a pensare agli incendi di oleodotti e gasdotti: equivarrebbe a inquinamento certo di vastissime aree. Aria, suolo, acque, colture. In particolare i fiumi veicolano ogni tipo di inquinamento sino al mare ed il Mar Nero è un mare quasi chiuso che terrà l’inquinamento al suo interno per tempi lunghissimi.

L’esposizione della terra e degli esseri umani a tali sostanze potrà avere conseguenze negative per la salute anche molto tempo dopo la fine del conflitto, trasformando l’Ucraina in vastissimo teatro postatomico privo di vita dove le persone non potranno tornare neanche dopo la fine del conflitto. Inoltre il protrarsi della guerra potrebbe causare la privazione della patria per i rifugiati che non potranno più tornare nella loro terra.

Mauro Coltorti