Il pensiero corre subito alla divaricazione, strutturale, tra centrodestra di governo (Lega) e di opposizione (FdI). E all’alleanza che si è “sciolta come neve al sole” (Meloni) nella battaglia del Quirinale dopo le candidature bruciate in serie dal piromane verde. Ieri, però, è stato lo stesso leader leghista a inciampare nella spaccatura a destra su due quesiti del referendum giustizia (promossi da Radicali e Carroccio).
Infatti, “la proposta referendaria sulla carcerazione preventiva impedirebbe di arrestare spacciatori e delinquenti comuni che vivono dei proventi dei loro crimini”. Mentre abrogare la legge che sancisce l’incandidabilità per i condannati definitivi “sarebbe un passo indietro nella lotta alla corruzione”. Un modo inteso a sottolineare, per contrasto, l’incoerenza della posizione del capo leghista che da strenuo paladino del binomio legge e ordine da un giorno all’altro ha scelto di arruolarsi nella trincea garantista.
Con la stessa naturalezza di un poliziotto con scudo e manganello che si scopre figlio dei fiori. Per carità, va bene tutto anche se nell’attesa delle decisioni della Consulta a Salvini non riesce facilissimo spiegare che lui è contro la cannabis e l’eutanasia. Poiché non v’è chi non veda che l’intero pacchetto referendario possiede una robusta impronta radicale e che, dunque, i suoi distinguo ci stanno come i cavoli a merenda.
Quanto alla Meloni, sarebbe un apprezzabile contributo alla chiarezza se tornasse a esplicitare i suoi no poiché forse non tutti gli italiani hanno ben compreso che su temi di così grande rilievo c’è destra e destra.
Antonio Padellaro



