Le “ofele”, un prodotto che accompagna l’uomo da millenni!

0
706

Paese che vai, ofela che trovi… ma non si chiamava sempre così…

TORINO – VALLI DI LANZO – Anche se sono sottili ed impalpabili, gustose, croccanti e facili da preparare spesso ce ne dimentichiamo; pure le “ofele” – oggi parliamo di loro – sono dolcetti deliziosi, piccoli piaceri, che nei brevi momenti della loro degustazione ci riconciliano con la vita.
L’“Ofela”, o Ufela, Ofella, Offella… (diminutivo di “offa”, piccola focaccia di farro degli antichi romani che veniva anche offerta agli uccelli per positivi auspici) si produce oggi un po’ ovunque in Italia ed all’estero, pur se con forme e ingredienti diversi. Nel 1860 il cavaliere Vittorio di sant’Albino nel suo dizionario ufficializzò per la prima volta in Piemonte il termine “ofella” (nelle Valli di Lanzo divenuto “ofela”). L’“offelleria” è il luogo dove si produce, l’“offelliere” il cuoco che la prepara (“ofelé” in lombardo, “oflé” in piemontese).

In provincia di Pavia, a Parona Lomellina, dicono che il biscotto “offella” ha avuto origine da queste parti, ma le rivendicazioni – sotto aspetti diversi – sono ovunque. Oltre che in Piemonte e Lombardia segnaliamo affermazioni di primogenitura provenienti da Abruzzo, Lazio, Molise, Veneto…, da Francia, Germania, Paesi Scandinavi, Olanda, Lussemburgo…; comunque sia, essa accompagna l’uomo da millenni ed ora proviamo a capirlo meglio.

Premesso che questa ricerca non vuole essere esaustiva né “dettar legge” in materia – essendo la questione molto controversa – cercheremo solo di dare una nostra personale lettura ed interpretazione ai fatti accertati, con la finalità di individuare e far comprendere quando, come e dove questo dolcetto ha preso corpo nelle sue molteplici vite.

Innanzitutto, pare che il primo prodotto con queste caratteristiche abbia avuto i suoi natali addirittura in Grecia, ai tempi delle “città stato”, le “polis”: veniva chiamato “Opelias Panis” e veniva preparato con farina di grano e poi farcito con fichi oppure olive.

Negli anni e secoli successivi divennero famosi in Belgio con un impasto a base di miele da cuocere su piastra di ghisa a forma di arnia. Le prime piastre risalgono al XII sec., a Malta; quando i normanni arrivarono qui ne cambiarono il nome in “gaufre” (nido d’ape in francese).

A loro volta i francesi, per un prodotto simile, abbandonarono il nome “opelias panis” per “crêpe” (crespella). La più famosa di queste sarà la crêpe Suzette, a base di salsa all’arancia e Grand Marnier, inventata nei primi anni del Novecento dal cuoco francese Escoffier. Dalla Francia questi dolci si diffusero progressivamente in tutta Europa.

Occorre comunque ricordare che dal Tardo Medioevo c’è prova dell’esistenza di prodotti simili chiamati “nebule” che costituivano una sorta di variante alla produzione delle ostie della liturgia cattolica.

L’impasto comunque successivamente e generalmente si arricchisce di volta in volta con latte, uova, farina e burro; una volta cotto viene farcito con ripieni vari, dolci o salati e arrotolato o impacchettato su se stesso per racchiuderli.

In America il prodotto diventa “waffel” (cialde a forma di nido d’ape morbidissime dentro e croccanti fuori); qui – e nei Paesi anglosassoni – diventa il simbolo della colazione tradizionale, ricoperto spesso con il dolce succo d’acero.

In Italia vi sono più varianti dei “waffle”: tra i principali i “gofri”, le “ferratelle” e le “ofelle”. Vengono dette anche, genericamente ed impropriamente, frittelle, ma tutte appartengono alla grande famiglia delle “cialde”. I primi hanno uno spessore della cialda più sottile e sono più croccanti dei “waffle”, il loro impasto è più leggero (mancano uova e latte); in Piemonte venivano usati come sostituti del pane perché dal sapore molto neutro.

Le “ferratelle”, per lo più abruzzesi e molisane, hanno un sapore più deciso per l’aggiunta di scorza di limone e un aspetto molto croccante e sottile.

L’origine delle ferratelle (o nome che preferite) si fa risalire all’Antica Roma. Il dolcetto romano che possiamo considerare antenato della cialda appenninica era detto “crustulum”.
Vi sono le “ferratelle” abbruzzesi (tipico dolce natalizio), denominazione anche molisana e laziale, con cui generalmente vengono chiamate le cialde dalla superficie a losanga, realizzate con farina, latte, uova, zucchero e aromi, e cotte con appositi ferri.

La forma della ferratella (o altro nome locale), soprattutto nella versione morbida, ricorda in maniera evidente quella dei waffle, che sono dolcetti ormai diffusi in tutto il mondo, tradizionali come dicevamo degli Stati Uniti e del Nord Europa, dal Belgio alla Francia, dalla Germania alla Scandinavia fino ai Paesi Bassi.

Ovviamente cambia il nome (neole, pizzelle, nuvole o cancelle), cambiano gli aromi (vaniglia, limone, anice, cannella…), cambia la consistenza (morbide o croccanti), ma sono sempre loro, che possiamo chiamare le cialde dell’Appennino.

Furono così importanti nella tradizionale locale che, addirittura, in tutte e tre le regioni, a partire dal ‘700 si diffuse l’abitudine di inserire nella dote delle spose i ferri per realizzare le cialde. Ferri speciali, in grado – in alcuni casi – di imprimere sulla pastella lo stemma del casato e/o le iniziali del proprietario.
Eccoci ora ai “gofri” (termine che ricorda il francese “gaufre”) piemontesi: cialde croccanti diffuse nelle zone dell’Alta Val Chisone e Alta Val di Susa, preparate con ingredienti molto semplici, acqua, farina e lievito e cotte su apposite piastre di ghisa. Queste non nascono come dolcetti, tanto meno delle feste, ma come sostituti del pane per le famiglie che vivevano in montagna (privi di latte, uova e zucchero).
Sempre in Piemonte, nelle medesime valli dei gofri, ma anche nel Canavese, Biellese, Astigiano, esiste anche un’altra tradizione di cialde cotte con il ferro: i “canestrelli”, che derivano il loro nome dai cesti intrecciati in cui venivano riposti dopo la cottura. A differenza dei gofri, nella ricetta tradizionale troviamo uova e zucchero.

Vi sono poi – come dicevamo – moltissime varianti di “offelle”, ed a mo’ d’esempio ve ne citiamo qualcuna.

Le profumate “offelle” di Parona (PV) sono molto spesse, dalla forma ovale appuntita, quasi un biscotto. Sembra che a inventarle, due secoli fa, siano state due sorelle, Pasqualina ed Elena, detta Linin, Colli. Tra storia e tradizione popolare si narra che a metà Ottocento Pietro Colli e Francesca Panzarasa, con i loro sette figli, gestivano una locanda dalla cucina casalinga. Il 20 marzo 1849 nella loro osteria arrivarono i soldati della quarta divisione dell’esercito savoiardo di re Carlo Alberto, provenienti da Vespolate. Vennero rifocillati con frittata di uova e rane, polenta, buon vino locale e anche un biscotto semplice dalla forma ovale, unica e inconfondibile: l’offella, appunto. Essendo stati molto graditi, negli anni a venire Pasqualina ed Elena continuarono a cuocere questi dolci nel forno di casa, ma senza mai svelarne la ricetta: si dice che abbiano rifiutato le 40.000 lire di una richiesta tesa a comprare il loro brevetto. Queste oggi hanno molte varianti: con strutto d’oca, al cacao, al caffè, al riso, trigole (tradizionali e al cacao farcite con il cioccolato fondente), allo zenzero, alla farina Vitamil 20 integrale… Dai produttori vengono definite “genuine bontà e dolci tradizioni lomelline”.
A Balangero e Lanzo Torinese si trovano due ricette d’impasto molto simili ma diverse per composizione, che vengono utilizzate in occasione di manifestazioni popolari o in prossimità di festività annuali.

In particolare citiamo qui la grande esperienza in merito del compianto Gaspare Bonaudo di Lanzo Torinese.

Egli, aiutato dalla consorte signora Luisa, già nel 1968 ripristinò a Lanzo questa antica tradizione pasticcera, avendo usato una ricetta della sua nonna materna per le sue “ofele”: sottili, croccanti, dorate, dal diametro di circa 10 cm, moderatamente dolci, deliziose. Infatti Gaspare riprese un antico “ferro per le ofele” appartenuto a suo nonno, che era un forgiatore, ed un bel giorno – accanto a polente, vin brulè, ceci e castagne – ripropose, in piazza, ai lanzesi ed ai forestieri, questa sua ricetta – sotto riportata, parzialmente per ovvi motivi di segretezza – che abbiamo a suo tempo conosciuto e degustato con grande piacere.

Dopo i primi anni Gaspare, per le sue delizie, si fece costruire dagli esperti artigiani di Mezzenile dei ferri nuovi con su impresso lo stemma del Ponte del Diavolo.

A conferma di quanto sia radicata in Piemonte la tradizione delle “ofele” ricorderemo, tra altre manifestazioni analoghe, che a Balangero negli anni pre-Covid, ed il 2 giugno 2022 a Nole (entrambi in provincia di Torino) si è tenuta la tradizionale “Sagra dell’ofela”.

Forniamo ora, in conclusione, a mo’ d’esempio, una ricetta tradizionale delle crespelle dolci: 300 g di farina, 3 uova, 1 litro di latte, un pizzico di sale, 60 g di burro, 1/2 pacchetto di zucchero vanigliato e 3 cucchiai di rum.

La ricetta locale, lanzese, per le “ofele” (signor Gaspare Bonudo, da Il Borgo di Lanzo N.1 e N. 8 rispettivamente del maggio 2003 e dell’aprile 2008) richiede invece farina di grano tipo 00, farina di mais bianca, latte, burro, sale fino, zucchero, vanillina, saporita, cannella in polvere, limone grattugiato e… un ingrediente segreto non rivelato; impasto da preparare la sera prima dell’uso. In questo caso i ferri devono essere unti con grasso non salato (il sale, cloruro di sodio, con l’umidità procura la ruggine) e preriscaldati entrambi a legna o a gas. Poi occorre versare un cucchiaio della crema preparata in una delle due piastre, scaldando successivamente ancora il prodotto per circa 30 secondi.

Concludendo, definire una data di nascita precisa ed un luogo per tutti questi prodotti simili ma mai uguali tra loro è molto difficile. Ogni cosa è frutto di evoluzione e contaminazioni, personalizzate e collettive, delle e nelle comunità.

Così anche la ricostruzione della loro storia è spesso frutto di ipotesi, come questa nostra che poggia però su libri, depliant locali e ricerche in rete.

In ogni caso pensiamo che dobbiamo “dare a Cesare quel che è di Cesare”, ovvero riconoscere agli antichi Greci il merito di aver piantato i primi semi per la nascita di queste golosità che hanno superato mille insidie culinarie e “dolcifere” e che tanto amiamo ancora oggi.

Nella foto, di proprietà dell’autore, Gaspare Bonaudo al lavoro con i suoi ferri ed una delle sue “ofele” dorata e croccante.

franco cortese

Franco Cortese Notizie in un click