Esplode la rabbia sociale. Non solo nei Paesi dell’Europa, ma anche in quelli del Medio Oriente e dell’America latina. Il popolo manifesta il suo dissenso verso alcune importanti riforme o condizioni e per far sentire la sua voce scende in piazza, indice scioperi, crea disordine, fino ad arrivare allo scontro con le forze dell’ordine
. Nei primi mesi del 2023, in diversi Paesi del mondo le piazze si sono scaldate, in alcuni casi attirando l’attenzione internazionale e arrivando al risultato sperato, in altri meno. Centinaia di migliaia di persone in strada per dire “no” alla riforma della giustizia. Dopo settimane di proteste in Israele, il primo ministro Netanyahu ha fermato la discussione della riforma giudiziaria e maggioranza e opposizione sono in trattativa. Ma i dimostranti ancora non si fidano e non sono convinti che il Governo sia davvero disposto a trovare un’intesa.
La situazione è esplosa in tutto il Paese, con i manifestanti che, per la tredicesima settimana consecutiva, hanno bloccato le strade in diverse città, una situazione senza precedenti nella storia recente di Israele. Secondo gli organizzatori, almeno 500 mila persone hanno partecipato alle manifestazioni e lo storico giornale israeliano Haaretz, le ha definite “le più grandi nella storia del Paese”. Solo a Tel Aviv i partecipanti sono stati almeno 200 mila. Circa 50 mila Ad Haifa, nel nord del Paese.
La riforma in discussione prevede che il parlamento, con un voto a maggioranza semplice, possa annullare le sentenze della Corte Suprema su eventuali provvedimenti amministrativi ritenuti irragionevoli, spostando il controllo finale proprio alle forze politiche di governo. La riforma porterebbe anche a una modifica del metodo di nomina della Corte, affidandola di fatto al potere politico. Per il governo si tratta di una riforma indispensabile, finalizzata a ridurre il potere eccessivo di giudici non eletti.
Molti critici, tuttavia, sostengono che con il nuovo assetto la coalizione di governo e il primo ministro avrebbero poteri quasi assoluti, andando quindi a minare la democrazia del Paese. Netanyahu e il suo governo, nei primi giorni di proteste, hanno mantenuto una certa fermezza, tanto che è stato licenziato il ministro della Difesa Yoav Gallant, reo di aver criticato le intenzioni del primo ministro.
Le piazze di tutto il mondo sono in rivolta
Ma dal licenziamento di Gallant sono scaturite proteste ancora più violente, con scontri tra manifestanti e polizia e diverse zone del Paese in tilt. Immagini di forte impatto, come quelle dell’autostrada di Tel Aviv invasa da migliaia di dimostranti o le cento mila persone riunite davanti la Knesset a Gerusalemme. Ristabilito un certo ordine, Netanyahu ha dovuto mediare con il suo ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, pronto ad aprire la crisi di governo.
i due hanno concordato la pausa della riforma in cambio dell’esame, nella prossima seduta di governo, della creazione di una Guardia nazionale civile di volontari alle dirette dipendenze del ministro.Una concessione che gli analisti ritengono alquanto problematica, vista la presenza già di polizia, della guardia di frontiera, dello Shin Bet (Sicurezza interna) e dello stesso esercito. Particolarmente complesso il rapporto con il ministro delle Finanze e leader di Sionismo Religioso Bezalel Smotrich, determinato sul percorso da seguire: “Non dobbiamo fermare per alcun motivo la riforma. Siamo la maggioranza – ha affermato annunciando la sua presenza alla manifestazione della destra alla Knesset – non dobbiamo arrenderci alla violenza, all’anarchia, agli scioperi selvaggi, alla disobbedienza.
Non consentiremo che ci rubino i nostri voti e il nostro Stato“. Certo è che, per quanto a tratti violente, le proteste sono riuscite a bloccare l’iter legislativo di una riforma molto impattante sull’assetto democratico del Paese che altrimenti, con ogni probabilità, sarebbe già stata approvata.
BEATRICE MARONI



