L’ego di Trump e il tramonto dell’impero

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Sono ore decisive per l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Tutte le cassandre danno vincente Kamala Harris al fotofinish ma un Trump ancora combattivo anima il dibattito politico e filosofico. Una modella racconta di essere stata palpeggiata da Trump davanti ad Epstein, il famoso pedofilo suicida in carcere che fece fortuna fornendo ragazzini alle danarose celebrities statunitensi.

Oggi a tremare è Hollywood per i festini a luci rosse organizzati dal rapper Diddy, ma a questi Trump non andava anche perché ormai ha 78 anni e gli è andato in pensione. Nel curriculum di Trump spiccano comunque una condanna per abusi sessuali ai danni della scrittrice Jean Carroll ed un’altra per aver pagato il silenzio scottante della pornostar Stormy Daniels. Non si contano le donne che lo hanno dipinto come un maiale ma del resto si sa, soldi e lusso annoiano in fretta e per trovare qualche emozione da quelle parti si abbassano i pantaloni in compagnia. La fortuna di Trump è che la faziosità fa miracoli e tra i suoi più ferventi sostenitori vi sono i cristiani evangelici, bigotti pieni di grana convinti di passare dalla cruna.

Trump piace perché tra le magagne che ha promesso di risolvere con un colpo di telefono c’è anche l’aborto, una priorità assoluta per un impero ai titoli di coda. Mentre Russia e Cina disegnano nuovi equilibri planetari, Trump vuole interferire in quel corpo femminile che ha sempre usato. Ma impazza la campagna elettorale e Trump frigge le patatine di plastica al McDonald e fa comizietti dal barbiere. Del resto la sua tazza del cesso è d’oro massiccio, ma il suo zoccolo duro è popolare. Arrabbiati che non leggono nemmeno i cartelli stradali, discendenti di immigrati terrorizzati dagli immigrati, cowboy neofascisti.

Tutti i pezzi grossi che hanno lavorato con Trump alla Casa Bianca gli hanno voltato le spalle apostrofandolo di contumelie. Razzista, incapace, cattivo. L’ultimo è stato il generale dei marine in pensione John Kelly che lo ha letteralmente additato come un fascista, parola entrata nel vocabolario americano come pizza e mafia per il vanto nazionale. E dentro Trump fascista lo è di certo, ma che possa tentare un colpo di stato fa ridere i polli. Trump alla fine è un marchio costretto a stare sulla scena per sopravvivere e attorno ha solo terra bruciata. Ha contro media, gran parte dei miliardari, vip, establishment e perfino il suo stesso partito repubblicano, quello dei Bush e dei nostalgici di Regan. Il trumpismo è un fenomeno a parte, è la versione americana del populismo antisistema che soffia anche da noi. Malessere profondo generato dai fallimenti sociali del turbocapitalismo e da una democrazia ostaggio di tecnocrati perbenisti e lobby ingorde. Trump non è la causa, ma il sintomo di un malessere di natura più esistenziale che politica. Il materialismo è un dannato vicolo cieco.

Tommaso Merlo