Leonardo, il governo e le armi a Israele: la maschera che cade

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L’intervista rilasciata il 30 settembre 2025 da Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo Spa, al Corriere della Sera ha segnato un punto di non ritorno. L’uomo a capo del colosso dell’industria militare italiana ha ammesso, sia pure con molte giustificazioni, che le esportazioni di materiale d’armamento verso Israele non si sono mai interrotte dopo il 7 ottobre 2023, data d’inizio della nuova escalation a Gaza.

Ciò che le inchieste di Altreconomia denunciavano da tempo viene dunque confermato dal principale protagonista. E insieme cade la narrazione del governo Meloni, che per due anni aveva assicurato all’opinione pubblica che «tutto era fermo».

Licenze mai sospese e legge 185/1990 ignorata

Secondo quanto emerso, le forniture sono proseguite in virtù di autorizzazioni rilasciate prima del 7 ottobre 2023 dall’Uama (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento, che dipende dalla Farnesina). La legge 185/1990, che disciplina l’export bellico, consente però al governo di sospendere o revocare le licenze anche a contratti in corso qualora sopraggiungano gravi violazioni dei diritti umani o delle convenzioni internazionali: condizioni ampiamente presenti dopo i bombardamenti sulla Striscia di Gaza.
Nonostante ciò, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e l’esecutivo non hanno mai emanato il decreto di sospensione, limitandosi a dichiarazioni rassicuranti. Anzi, quando Altreconomia chiese nel 2023 se quei decreti esistessero, il ministero si rifiutò perfino di rispondere, adducendo motivi di “riservatezza sulle relazioni internazionali”.

Cingolani: “Costretti a rispettare i contratti”

Nell’intervista al Corriere, Cingolani ha sostenuto che Leonardo fosse obbligata a onorare due contratti per “manutenzione di elicotteri e aerei da addestramento non armati”, pena possibili contenziosi legali. Ha parlato di “quattro tecnici in Israele per la manutenzione ordinaria”.
La realtà documentata dice altro: nel 2024 Leonardo aveva comunicato ad Altreconomia che le forniture consistevano in «assistenza tecnica da remoto, riparazione materiali e fornitura ricambi», per un valore di circa 7 milioni di euro. Nel 2025 l’attività è proseguita, senza che la società rendesse noto l’ammontare.

Dai M-346 alle bombe GBU-39: forniture ben più ampie

La linea difensiva di Cingolani ha inoltre sorvolato su altri programmi rilevanti: gli elicotteri AW119Kx d’addestramento di Agusta-Westland prodotti a Philadelphia con accordo del 2019; i cannoni Oto Melara installati sulle corvette israeliane; la co-produzione delle bombe GBU-39 da parte del consorzio MBDA, di cui Leonardo detiene il 25%.
Tutte forniture che smentiscono l’immagine di un supporto limitato e meramente tecnico.

Il governo tra reticenze e contraddizioni

Nel 2024 la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva assicurato in Senato che si trattava solo di “componentistica per aerei destinati agli Stati Uniti, quindi non utilizzabile in Israele”. L’anno successivo Cingolani ha offerto una versione ancora diversa, riducendo l’export a “quattro tecnici”. Un susseguirsi di giustificazioni che evidenzia il tentativo di minimizzare, quando non di negare, un dato di fatto: le forniture non si sono mai fermate.

Le responsabilità internazionali e il nodo etico

La Relatrice speciale ONU Francesca Albanese, nel rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, aveva incluso Leonardo fra gli attori coinvolti. L’azienda ha liquidato quelle accuse come “strumentali e superficiali”, ma non ha mai reso pubblica la corrispondenza ricevuta dall’ONU prima della pubblicazione del report.
La questione non è soltanto giuridica, ma etica e politica: un Paese UE, legato da convenzioni sui diritti umani e da vincoli di esportazione, ha continuato a fornire sistemi militari a uno Stato impegnato in operazioni belliche che hanno suscitato condanne e indagini per possibili crimini di guerra.

Giuseppe Gagliano