Il centro studi Unimpresa, diretto dalla Presidente Giovanna Ferrara, ha riordinato le previsioni programmatiche del DEF, il Documento di economia e finanza del Governo Meloni, inserendo nel totale, doverosamente, la partita delle “altre entrate correnti” tenute fuori dai conteggi ufficiali relativi al calcolo della pressione fiscale sul prodotto interno lordo
Il risultato di questa rideterminazione è presto detto: nel corrente anno, scopriremo che il carico tributario reale si sarà avvicinato pericolosamente al 50 per cento del PIL, incidenza che molte piccole e medie imprese considerano fin da già superata al netto rialzo, e dal 2024 – per la prima volta – gli introiti dello Stato sfonderanno la soglia dei mille miliardi annui, per poi salire ulteriormente nel 2025 e nel 2026, il periodo nel complesso preso a riferimento dal DEF.
Vero è che una quota di maggiori entrate erariali può essere imputata alla prevista variazione in crescita del reddito nazionale, ma la realtà è che il ritmo di aumento del gettito del fisco appare molto più accelerato degli andamenti ancora incerti dell’economia reale e produttiva: portando la macchina amministrativa pubblica a incamerare 1035 miliardi nel 2025 e 1055 nel 2026, solo in parte appunto giustificabili dai segnali positivi del PIL.
Analizzando il documento programmatico contabile del Governo Meloni dal lato della spesa, si comprende il perché di una tale deriva fiscalista che potremmo definire multi-partisan e che necessariamente si abbina alla spirale dei disavanzi da finanziare con debito pubblico addizionale: tra il 2024 e il 2026, infatti, le uscite batteranno in maniera sistematica le entrate e si attesteranno rispettivamente a 1076, 1101 e 1111 miliardi.
Un andamento per nulla lento e destinato a vanificare gli effetti del Pnrr, posto che lo si riesca a utilizzare compiutamente: in effetti, nel triennio venturo, gli investimenti di parte pubblica saranno in calo di oltre 47 miliardi, mentre le erogazioni monetarie di parte corrente lieviteranno di nove zeri a quota 76. Perciò resta da capire che fine faranno gli annunciati progetti come il ponte sullo stretto di Messina.
La principale voce in conto uscite arriverà dalla spesa previdenziale, il cui ammontare complessivo dal 2024 al 2026 salirà da 340 a 362 miliardi annui, pari al 16 per cento del PIL, in connessione con l’ulteriore invecchiamento della popolazione non bilanciato da sufficiente natalità né dalle pur perduranti restrizioni imposte da oramai undici anni per il tramite della legge Monti Fornero.
Di contro, calerà la spesa per il pubblico impiego, che toccherà un picco nel 2025, ultimo anno utile per attuare la progettazione dei fondi europei del Pnrr, arrivando a quota 197 miliardi, per poi ridiscendere a 187 l’anno seguente.
Un assaggio di mister “mille miliardi” sarà testato dai contribuenti italiani il prossimo due maggio, giorno di ingorgo fiscale post festivo che – come è di rito subito dopo i ponti (non sullo stretto) – vedrà accalcarsi adempimenti dichiarativi e versamenti di imposizioni dirette e indirette.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




