In un’Italia che fatica a riconoscersi come comunità e dove la parola “Patria” è pronunciata con imbarazzo o sarcasmo, il tema della leva obbligatoria torna ciclicamente a riaffacciarsi nel dibattito pubblico. Nonostante sia stata solo sospesa nel 2005 e mai abrogata, la leva è trattata come un retaggio del passato, da archiviare in nome di una modernità che, nel frattempo, ha disimparato il senso del dovere
Eppure, in un’epoca in cui la guerra appare erroneamente come un’eventualità remota e in cui le emergenze naturali sono all’ordine del giorno, l’idea di formare cittadini prima ancora che militari dovrebbe essere considerata non come un’imposizione retriva, ma come un’opportunità lungimirante. La leva non era solo marce e armi, ma un vero laboratorio di civiltà: disciplina, spirito di servizio, senso del collettivo, capacità di reagire alle crisi. Tutti ingredienti che scarseggiano nella società odierna in cui si esaltano diritti ma si dimenticano i doveri.
Per molti ragazzi, la naja era l’unico luogo in cui si incontravano davvero l’Italia del Nord e quella del Sud, il figlio del professionista e quello dell’operaio, chi aveva studiato e chi no. Un livellamento sociale non punitivo, ma formativo: si dormiva nelle stesse camerate, si mangiava allo stesso tavolo, si obbediva allo stesso ordine. Si diventava uguali nel senso più autentico e meno retorico del termine.
In un’epoca in cui le famiglie stentano a trasmettere regole e senso civico (specie per effetto dell’abolizione delle sacrosante pedate paterne), la leva potrebbe ancora rappresentare un passaggio simbolico verso la maturità, la cittadinanza, la consapevolezza di appartenere a qualcosa di più grande del proprio quotidiano. Non si tratta di militarizzare i giovani, ma di educarli alla resilienza, alla solidarietà, all’idea che i diritti si difendono anche con il sacrificio, non solo con le rivendicazioni.
Rilanciare la leva oggi — in forma nuova, flessibile, non esclusivamente armata — significa restituire allo Stato uno strumento formativo formidabile e alla Nazione un’occasione per ritrovarsi, oltre che la disponibilità di una riserva organizzata e consapevole, capace di attivarsi in tempi rapidi laddove lo Stato, da solo, non può arrivare. Non sarebbe un passo indietro, ma un vero passo avanti per una società che ha perso il senso di comunità nazionale.
Giorgio Carta,


