La crisi lascia per ora qualche punto fermo. Per prima cosa i mercati sono stati presi dal panico per il fallimento di due banche regionali statunitensi creando fuga dalle borse e contestuale corsa all’acquisto dei titoli di stato, ripristinando la storica correlazione negativa tra le due asset class che è alla base di una corretta costruzione di portafoglio
Il secondo fenomeno è stato l’enorme ridimensionamento delle aspettative sui futuri rialzi dei tassi da parte delle banche centrali (Bce e Fed).
L’effetto più evidente resta quello sui titoli di stato: pur in un contesto di inflazione ancora elevata, vi è stato un importante riprezzamento: il rendimento del titolo a due anni tedesco è passato dal 3.28% di giovedì scorso al 2.45% di questo giovedì, con un calo di 83 bp in una settimana (il Treasury a due anni USA ha ridotto i rendimenti dal 4.9% al 4.06%!). Il classico movimento di risk-off è stato completato dagli spread in allargamento un po’ su tutti i segmenti del credito.
La discesa dei rendimenti come detto riflette anche il ridimensionamento delle attese di rialzi dei tassi da parte delle banche centrali: le curve ora scontano percorsi di rialzo molto meno aggressivi.
Le curve future ipotizzano tassi Fed Funds inferiori al 4% (3.90%) a fine anno (le aspettative erano a 5.5% a metà della scorsa settimana), con due tagli previsti entro quella data. In Europa, invece, il tasso per fine anno è previsto ora al 3.06% dal 3.96% dello scorso giovedì.
Come si nota un repricing imponente che implica un brusco intervento da parte delle banche centrali di fronte ai timori di instabilità finanziaria.
Il sentiero per le banche centrali è sempre più stretto: tra lotta all’inflazione (forse nelle battute finali) e sostegno al sistema finanziario. Ma la notizia incoraggiante è che le condizioni finanziarie potrebbero essere in futuro meno restrittive, lasciando spazio per un futuro recupero dei risky assets.


