L’impennata dei costi dell’energia rischia di paralizzare le nostre aziende

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L’incremento dei pressi delle materie prime sui mercati esteri è oramai copioso ed esteso. Il rialzo improvviso della quotazione del gas si è velocemente trasferito sul presso dell’energia elettrica, facendo crescere i costi energetici delle nostre imprese industriali: oltre 30 miliardi previsti per quest’anno dal Centro servizi di Confindustria , da 8 di solo due anni fa

Una condizione intollerabile per le nostre imprese. Un livello che preannunzia chiusura di molte imprese in assenza di provvedimenti veloci. Il prezzo dell’elettricità è tra i più alti dell’EU e questi rincari esprimono anche un deciso aumento della bolletta energetica, da noi pagata ai paesi che esportano. Tutto ciò si traduce, per le imprese, in una decisa riduzione dei margini, stante la difficoltà di trasferire alla clientela i rincari delle commodity.

La compressione dei margini è superiore nelle aree più a valle, quelle che producono  beni di consumo (come abbigliamento e mezzi di trasporto) che sono prossimi alla domanda finale tuttora limitata; ma anche nei settori energivori (cemento, metallurgia, legno…). L’assimilazione dei rincari nei margini delle imprese dimostra come mai l’inflazione in Italia sia ancora bassa.

L’impatto e i contraccolpi che questi aumenti avranno nelle prossime settimane sul 35% delle imprese incideranno sull’utile netto tra 5 e 10 punti , mentre per il 25% graveranno tra 15 e 20 punti. Oltre il 50% delle aziende ha infatti sottoscritto contratti a prezzo variabile a fronte del 45% circa protetto da prezzo fisso. In ogni caso quasi la metà delle aziende interessate da un contratto a prezzo fisso ha in essere un prezzo medio di rifornimento di oltre E120/MWh pari ad un inasprimento del 100% rispetto al prezzo medio dell’elettricità nel 2019.

La maggioranza delle imprese titolari di un contratto a prezzo fisso si troverà a rinegoziarlo prima della fine dell’anno. In considerazione quindi delle importanti tensioni che attraversano il mercato dell’energia è plausibile attendersi a fine  2022 una rinegoziazione di circa E180/MWh pari a una crescita del 200% rispetto al 2019. Un aumento che costringerà alcune attività a rivedere i propri budget previsionali. Sulla scorta poi di recenti rilevazioni, le piccole aziende pagano l’energia elettrica il 65% e il gas il 125% in più delle grandi.

L’aumento del differenziale è riconducibile alla riforma degli energivori che prevede un costo agevolato dell’energia elettrica per le grandi imprese. Pe ril gas invece il divario è riconducibile al fatto che le grandi aziende ricevono offerte ad hoc con una tariffa privilegiata.

Occorrerebbe intervenire sui fattori fiscali e parafiscali della bolletta elettrica e del gas naturale, incrementando il livello di esenzione per i settori della manifattura, specialmente i comparti energivori a rischio delocalizzazione ; incrementare la produzione nazionale di gas naturale e riequilibrare l’organizzazione di rifornimento del Paese.

L’impatto sui costi è più alto nei comparti che utilizzano maggiormente le commodity con i maggiori rincari; e se questi saranno in parte transitori, la situazione dei margini potrebbe mitigarsi per alcuni comparti. Danneggiati resterebbero coloro che utilizzano le commodity con i rialzi più duraturi (es tessili). L’inflazione nel nostro Paese è spinta solo dai prezzi dell’energia , rimanendo relativamente bassa rispetto agli Usa.

Lo scenario più plausibile prevede che la fiammata dell’inflazione in Italia ed in Europa sia momentanea, grazie all’auspicato calo del prezzo del petrolio e si rilevi un rientro nell’anno in corso. Quanto sopra eviterebbe un rialzo dei tassi a differenza di quanto probabilmente avverrà negli Usa.

Francesco Megna Referente Commerciale in banca