Stupefatto. La sinistra, da trent’anni a questa parte, mi lascia stupefatto”. Questo è l’incipit dell’ultimo libro di Luca Ricolfi – La mutazione – che, su invito dell’autore e dell’editore (Rizzoli), ho presentato nei giorni scorsi al Salone del Libro di Torino. Non ero mai stato al Salone: una bolgia di personaggi in cerca di autori e autori in cerca di personaggi: 2.000 presentazioni di libri in cinque giorni, 400 al giorno, 36 ogni ora, una ogni 1,6 minuti. Tutti a lamentarsi perché si legge poco e si vendono pochi libri.
Vale dunque la pena di riprendere con più calma la riflessione su Ricolfi, assunto qui come idealtipo dei tanti intellettuali forse di sinistra, comunque scontenti della sinistra, spesso corteggiati dalla destra, sempre più spesso tentati di aderirvi.
La mutazione è una specie di outing intellettuale di un sociologo severo e riflessivo che, a un certo punto, ha deciso di saltare il fosso. Del resto, quasi tutti gli intellettuali di sinistra oggi sono scontenti dell’attuale sinistra che, a sua volta, li ricambia ignorandoli. Ma, finora, la maggioranza degli scontenti o si è ritirata nel suo cantuccio e magari neppure ha votato, o si è impegnata a denunziare le colpe della sinistra suggerendo cambiamenti inascoltati. Da ora in poi, con la destra al potere, saranno sempre più frequenti i casi di intellettuali che, persa ogni speranza, affideranno alla destra la realizzazione dei loro sogni politici (come nel caso di Ricolfi) o la soddisfazione dei loro bisogni pratici.
Lo stupore con cui Ricolfi apre La mutazione nasce dal suo constatare che, negli ultimi trent’anni, alcune idee paradigmatiche della sinistra – emancipazione tramite la cultura, difesa della libertà di pensiero, difesa dei deboli – sono emigrate a destra. Per dimostrarlo, è costretto a citare ideologi come Slavoj Žižek, Jean-Claude Michéa, Marco Rizzo e Diego Fusaro che, a dire il vero, in Italia non trascinano grandi folle.
Ma la migrazione di idee da sinistra a destra non è cominciata da quando Ricolfi se ne stupisce: è avvenuta sempre, in Italia e altrove. Ad esempio, i concetti di comunità e di modernismo, i giudizi critici su atomizzazione sociale, individualismo, alienazione, concorrenza, progresso, industria culturale, ecc., sono stati elaborati a volte a destra e a volte a sinistra per poi passare alla controparte. Basta rileggere Tönnies, Hofmannsthal, Péguy, Sombart e, da noi, Evola, Prezzolini, perfino Pasolini.
Ricolfi afferma che solo la destra difende i deboli (inserendo tra questi, in blocco, i produttori) e “solo lei è a fianco dei ceti popolari”. Dimentica così che esistono in Italia almeno tre sinistre: quella socialdemocratica del Pd, quella populista dei 5 Stelle e quella radicale di Unione Popolare e altri.
Dopo aver concordato con Giovanni Raboni, secondo cui i grandi scrittori sono tutti di destra, Ricolfi convoglia le sue energie nell’agevole impresa di elencare le colpe della sinistra.
Ecco i suoi capi d’accusa: la sinistra è diventata una libertaria e censoria vestale bacchettona del politically correct; privilegia i diritti civili rispetto ai diritti sociali e preferisce l’inclusione invece dell’uguaglianza; ha esercitato, durante gli anni della Repubblica, un’egemonia culturale simmetrica a quella esercitata dalla destra durante gli anni del fascismo; ha provocato il degrado culturale abiurando il valore del merito e adottando come numi tutelari Don Milani, Bourdieu e Passeron; ha ignorato il lato oscuro del progresso. Così, disinvoltamente, azzera Tullio De Mauro, Umberto Eco, Carlo Petrini e quanti, da sinistra, hanno combattuto per tutta la vita l’industria culturale, l’autoritarismo e il consumismo.
Insomma, nello stile, nella scelta dei punti d’attacco, nelle argomentazioni adottate, nella cultura condivisa, ormai Ricolfi si auto-colloca compiutamente a destra. Un ultimo, esile dubbio può essere indotto dalla sua concezione della struttura sociale. Dopo aver sostenuto (pag. 30) l’esistenza di tre società – quella dei garantiti, quella del rischio e quella degli esclusi – poi le riduce a due (pag. 200).
Da una parte il “mondo di sopra” fatto di post-borghesi e post-materialisti che hanno a cuore ecologia e transizione digitale, diritti e accoglienza, eutanasia e liberalizzazione delle droghe, ristoranti e vacanza, gioco e intrattenimento, sessualità e social media. Dall’altra il “mondo di sotto” fatto di post-proletari e post-sottoproletari che vorrebbero avere un lavoro, pagare le bollette, affrontare una spesa medica imprevista, arrivare alla fine del mese, vivere e proteggersi in quartieri degradati.



