L’ipocrisia del riconoscimento dello Stato palestinese

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Dopo lo spagnolo Sanchez, altri capi di governo hanno o stanno riconoscendo lo Stato Palestinese. I più importanti, ovviamente, sono Macron e Stammer. Non è poca cosa.

Questo riconoscimento così faticoso è la dimostrazione delle contraddizioni in cui si dibattono i governi occidentali, stretti fra l’appoggio a Israele — “che fa il lavoro sporco per noi” (Merz) — e un’opinione pubblica sempre più inorridita dal massacro perpetrato quotidianamente dall’esercito israeliano.

Il riconoscimento dello Stato Palestinese, tuttavia, si porta dietro domande senza risposte. Quale Stato? Dove? Con quale capitale? Gerusalemme è in uno stato avanzato di occupazione israeliana. In Cisgiordania, dove mezzo milione di ebrei spadroneggiano su tre milioni di palestinesi in un clima da apartheid? A Gaza, ormai occupata dalle truppe con la stella insanguinata di David? Le dichiarazioni del 4 agosto di un alto funzionario del ministro Netanyahu non lasciano dubbi: “Occuperemo totalmente la Striscia di Gaza. La decisione è stata presa”.

Questo riconoscimento è dunque un’evidente arma di distrazione di massa. Un dire senza fare. Ma è difficile credere che ciò avrà effetto sull’opinione pubblica. Anzi, farà crescere la domanda di interventi concreti e decisivi. La vicenda di Francesca Albanese docet. A nessuna persona sfugge, infatti, che con sanzioni economiche e militari Israele andrebbe brevemente al collasso. Non è la Russia.

Del resto, i primi a non crederci, a queste ennesime sparate dei governi occidentali, sembrano essere proprio i dirigenti dell’Autorità Palestinese stessa. Questa, infatti, non ha dato nessun segno di prendere sul serio queste prese di posizione.

Per altro verso, non è pensabile nemmeno — come sostiene qualcuno benevolmente — che queste prese di posizione aumenteranno l’isolamento di Israele più di quanto non lo sia già. Al contrario, invece, il governo sionista vedrà che l’Occidente non vuole spingersi oltre l’abbaiare.

A settembre, della Palestina se ne parlerà all’Assemblea Generale dell’ONU. Sarà una seduta importante. E in effetti è l’ONU che deve rimediare all’errore di aver consentito, nel ’47/’48, la nascita di Israele in una terra non loro, con una ripartizione del territorio fra due Stati ipotetici, assurdamente compenetrati l’uno nell’altro. E dunque a prova di insicurezza totale. Ciò ha comportato che il più forte ha riscritto continuamente quella mappa, guerra dopo guerra. Infatti, di Stati ce n’è solo uno.

Ugo Boghetta