L’ITALIA RIPARTE… DAI 40 MILIARDI CHE NON HA

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Tanti ne occorrono al governo Meloni per redigere una legge di stabilità finanziaria e di bilancio che si sottragga all’appellativo del binomio “lacrime e sangue” addebitato fin da ora dalle opposizioni parlamentari e sindacali

Gli effetti della politica monetaria della BCE, in assenza di correzioni di rotta che appaiono improbabili, diventeranno dirompenti dal prossimo autunno oramai alle porte, con la crescita dei casi di crediti bancari incagliati, sofferenti o ex novo negati a famiglie, consumatrici e produttrici, e a imprese non soltanto piccole ma di media grandezza che dovrebbero essere le teste di ponte del Paese sui mercati domestici e internazionali.

Mentre sul fronte del debito pubblico gli aumenti dei tassi di riferimento, decisi da Francoforte, saranno più diluiti nel tempo, dal momento che le obbligazioni statali in essere fanno ancora in buona parte riferimento alla precedente lunga stagione del quantitative easing e della liquidità abbondante, di tutt’altro impatto rischia di essere, ove si manifestasse, la tendenza degli investitori istituzionali – soprattutto banche commerciali e società di gestione mobiliare e del risparmio – e al dettaglio (retail) a cercare di monetizzare i bond vigenti al fine di orientarsi verso titoli pubblici e privati più remunerativi.

Diverse tensioni sono attese altresì sul capitolo previdenziale, ove le dichiarazioni del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti preludono – con buona pace delle promesse elettorali del suo leader e vicepremier leghista Matteo Salvini – a un rafforzamento dei parametri rigorosi e rigoristi della legge Fornero e non piuttosto a un superamento della stessa, e d’altra parte ciò era evidente fin dal primo Governo Conte a guida Cinquestelle-Lega con il carattere temporaneo di quota 100. Della riforma Fornero del 2011 potrebbe inoltre essere ripresa la scelta infausta di bloccare ulteriormente o di depotenziare il meccanismo della indicizzazione degli assegni Inps superiori a tre o quattro volte il minimo preesistente, con l’obiettivo di elevare l’integrazione delle pensioni minime verso il traguardo dei mille euro mensili da centrare, nei desiderata di Forza Italia, entro la fine della legislatura.

Dobbiamo ricordare che l’orientamento a recuperare risorse penalizzando l’adeguamento delle pensioni al costo della vita, fu condannata a più riprese proprio da Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, durante la lunga stagione dell’opposizione in Parlamento, mentre una simile decisione stonerebbe con la filosofia storica della Lega incline a valorizzare il Nord produttivo da cui traggono origine in larga maggioranza i trattamenti previdenziali di anzianità in essere.

Ugualmente inquietanti sono le avvisaglie che provengono dal mercato del gas di Amsterdam, dove alcuni movimenti speculativi sono passibili di provocare nuovi aumenti nelle bollette familiari e aziendali su elettricità e riscaldamento invernale, e ciò in concomitanza con la venuta meno degli ammortizzatori dei governi Draghi e Meloni per calmierare le tariffe energetiche sui redditi più bassi.

Disagi che palazzo Chigi ha promesso di voler contenere utilizzando l’extra gettito delle accise sui carburanti, e i risparmi di spesa a valere sul reddito di cittadinanza, per prorogare e rendere il più possibile strutturale l’abbattimento del cuneo contributivo sul costo del lavoro, oltre la scadenza di dicembre.

Resta infine il tema degli investimenti aziendali: la demonizzazione del “super eco bonus” 110 per cento, portata avanti dal ministro Giorgetti, non aiuta le attese del settore delle costruzioni, anche perché la quasi totalità dei centri studi delle associazioni di categoria, compresa Ance Confindustria, è concorde nel rilevare che la cifra delle presunte frodi, quantificata in 12 miliardi di euro dalle attività di accertamento di guardia di finanza e agenzia delle entrate, fa riferimento a detrazioni non ancora uscite dal bilancio dello Stato, quindi si tratta in definitiva di una economia di spesa pubblica e non di un maggior debito.

In parallelo, va compreso come si vorrà e si potrà uscire dall’impasse del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, dopo la decisione del ministro Raffaele Fitto di rinviare la realizzazione delle residenze universitarie e di spostare verso la programmazione dei fondi UE ordinari tutta una serie di investimenti in capo agli enti locali per diversi miliardi di euro.

In terzo luogo, dopo gli entusiasmi iniziali dalle parti del ministero dell’industria e del made in Italy, non risultano più pervenute novità a valere sull’accordo tra Governo italiano e Stellantis, ex Fiat, per ricondurre la produzione di automobili alla soglia di un milione di veicoli: intesa che si sarebbe dovuta siglare prima in estate e poi nel mese di settembre appena avviato e che oggi viene prospettata dal ministro Adolfo Urso come stipulabile per la fine del 2023.

La multinazionale delle quattro ruote, oggi a controllo francese, chiede una contropartita di incentivi fiscali e di minori vincoli normativi, ma ciò potrebbe entrare in conflitto con l’annuncio del commissario europeo Paolo Gentiloni circa la volontà della commissione UE di non prolungare al 2024 la sospensione del patto di stabilità e con le onerose direttive green di Bruxelles che minacciano la sopravvivenza di modelli iconici come la gloriosa Fiat Panda.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI