Lo “sconosciuto” Bartolomeo Bonesio

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Una intricata e misteriosa vicenda tra Lanzo torinese e Roma

C’è un comune in Piemonte che è possibile descrivere metaforicamente e artisticamente come un piccolo quadro collocabile tra l’iconico e l’informale, con qualche escursione nell’astratto, per la ricchezza dei colori e la positiva raffigurazione della realtà della sua natura e dei suoi abitanti, anche ben incorniciato dalle Prealpi e dalle Alpi Graie: Lanzo Torinese.

Potrebbe sembrare paradossale che un saggio su un personaggio piemontese, lanzese, quale è in effetti questo che state leggendo, porti un titolo così inusuale: “Lo sconosciuto”; come sembrano inappropriati o esagerati gli aggettivi “misteriosa” e “intricata”; pure è bene leggerci fino in fondo prima di trarre affrettate conclusioni.

Bartolomeo Bonesio fu personaggio reale, vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento, con natali a Lanzo nel 1558 da famiglia benestante e probabile morte a Roma nel 1638 (o inizio anno 1939); tali date non figurano però su alcun documento ufficiale che lo riguardi, noto, della Chiesa, pur essendo egli un importante “personaggio storico” molto legato al Vaticano. Cerchiamo di capire perché.

Importante in quanto fu praticamente tutta la vita (a partire dal 1576, appena diciottenne) al servizio del cardinale Ippolito Aldobrandini, divenuto poi (1592) papa Clemente VIII, fino alla di lui morte (1605), e tesoriere poi (1620) di casa Savoia.

Queste date sono state dedotte e calcolate basandosi sulle Croniche de li Cappuccini in Lanzo, documento dove si trovano le poche notizie che lo richiamano in relazione alla sua carica ed alla sua beneficenza, essendo stato nel 1612 fautore e finanziatore di un convento donato alla sua città natale, portando così a Lanzo la comunità francescana. La data di fondazione era posta sulla lapide della presa di possesso dei ruderi da parte francescana che avviene con la posa di una croce sul luogo in cui sorgerà il convento. Convento oggi non più esistente.

Del convento, ricco di arredi e paramenti sacri, rimane oggi solo la pala d’altare, San Francesco riceve le stimmate, di Carlo Saraceni detto il Veneziano, attribuita al maestro con una autentica nel ‘700 e, di recente, da storici dell’arte in occasione della prima mostra sul Saraceni organizzata a Roma nel 2014, pala abitualmente custodita nella parrocchiale di San Pietro in Vincoli.

La lettera di comanda relativa risale al 1614 (ne parla la professoressa Terzaghi in un suo studio), mentre il Saraceni morì a Venezia nel 1620. Anche qui aleggia un mistero: se si osserva attentamente questa data sul documento si capisce che essa è stata corretta a mano da qualcuno trasformando l’originale 1614 in 1624. Chi lo ha fatto e perché? Il dipinto arriva comunque a Lanzo (probabilmente) nel 1624, certamente dopo la morte del pittore, per cui si può supporre che l’opera sia stata completata e data ai frati lanzesi dal suo allievo Jan Le Clerc (Nancy 1586-1633).

Nel 1802, con l’avvento di Napoleone, i francescani abbandonano definitivamente Lanzo, e finiscono le Croniche de li Cappuccini. Frati che esternano al Bonesio molta gratitudine. Della propria magnanimità purtroppo Bonesio non poté godere: da quanto si apprende dalla Miscellanea di studi storici sulle Valli di Lanzo edita dalla locale Società storica, infatti, la consacrazione della chiesa del Monastero avviene nel 1653, ben quindici anni dopo la sua morte.

La sua fu una dedizione assoluta, al cardinale prima ed al papa (231° della Chiesa) poi, che lo elevò alla carica di cameriere segreto, e che lo ricompensò, alla sua morte, nel 1605, con una rendita di 9000 ducati d’oro romani (non è specificata la periodicità!).

Dopo tale data Bonesio iniziò a pensare alla sua redenzione. Infatti molti piccoli avvenimenti e scritti precedenti inducono a pensare – ma non vi sono prove – ad una vita sì in perenne missione operativa agli ordini del pontefice, ma con momenti non sempre tutti limpidi e chiari, ad esempio: il caso Beatrice Cenci; le continue richieste generiche di messe, preghiere e perdono ….; lo scrivere nel testamento del 1620 al suo ritorno a Roma “...dovendo io morire a Roma...”.

Un punto focale del nostro dire su di lui sta proprio in questi ultimi fatti: perché “deve” ritornare a Roma? perché pensa di dover morire in quella città quando aveva ritrovato la pace e la serenità nel suo Piemonte?

Gli episodi salienti della sua ricca ed intensa vita furono per lo più pubblici e lo videro assumere cariche molto importanti e ruoli di primo piano.

Nel 1588 l’allora cardinale Aldobrandini fu chiamato dal pontefice a dirimere una lunga controversia in Polonia, relativa al trono, che vedeva contrapposti Sigismondo III Vasa e Massimiliano III di Asburgo.

Quale legato pontificio egli quasi certamente volle con sé, come uomo di fiducia, il nostro Bartolomeo Bonesio. Le cronache parlano della battaglia di Byczyna combattuta il 24 gennaio 1588 che vide vincitore Sigismondo III Vasa. Massimiliano III fu quindi imprigionato nelle carceri di Cracovia e liberato solo grazie all’intervento, appunto, dell’Aldobrandini.

Ancora un incarico importante, come provano i documenti conservati nell’Archivio di Stato di Torino, fu assegnato al Bonesio nel 1620, allorquando con ordine camerale viene nominato tesoriere pro tempore del Principe di Piemonte, altro titolo, questo, attribuito al Duca Carlo Emanuele I di Savoia.

A quell’età, 62 anni, non si sa per quanto tempo mantenga quel ruolo (era usuale per uno o due anni), ma è comunque certo che da una parte è molto considerato da Casa Savoia e dall’altra che questo compito lo eleva ad un grado sociale certamente molto alto tra i piemontesi non nobili.

Anche la vita “sentimentale”, come dicevamo, fu per Bartolomeo altrettanto “avventurosa”. Innanzi tutto circa il suo primo matrimonio (ne ebbe due) avvenuto tra il 1605 e il 1612 con tale Lorenza Gavassi. Lui ha tra i 47 e i 54 anni; non si conosce l’età di lei ma si sa che è vedova con due figli avuti dal primo marito. Dalla lettura del successivo testamento del Bonesio non pare essere stata un’unione d’amore quanto più probabilmente un’unione combinata per non disperdere il patrimonio della vedova, com’era d’uso a quei tempi. Fors’anche voluta o suggerita dall’Aldobrandini.

Altra importante notizia “sentimentale” di Bartolomeo è stata trovata nel romano Archivio Storico Capitolino, archivio urbano, Sezione 42, vol. 67 tra i rogiti del notaio Adriano Gallo datati 18 gennaio 1639.

In tale data la peritio testamenti – lettura delle ultime volontà stilate il 9 maggio 1637 – da parte di detto notaio avviene in presenza della vedova di Bartolomeo Bonesio, tale Diana Donati!

Scopriamo così che il nostro uomo aveva stipulato negli ultimi anni un altro matrimonio e redatto altri due testamenti (27 settembre 1634 e 13 gennaio 1637); non solo: nonostante la non più giovane età aveva avuto numerosi figli. Qui si ipotizza che il secondo matrimonio si sia potuto celebrare per morte della prima moglie avvenuta tra il 1625 ed il 1630 (!?) o, meno probabile, aveva avuto l’annullamento dalla Sacra Rota. (La Sacra Rota Romana, che è il più antico tribunale del mondo cattolico, fu istituita durante la permanenza del papato ad Avignone nel secolo XIV).

A riscoprire la figura di Bartolomeo Bonesio, a dargli presenza, dignità e farne oggetto di ulteriori studi per chi lo volesse, è stato un caro amico dello scrivente, Mauro Proci, uomo poliedrico di penna, spatola e pennello che, pur non essendo lanzese, non essendo investigatore e non essendo un poliziotto né uno storico – ma un po’ di tutto questo – ha portato alla luce quanto da noi qui esposto e attorno vi ha anche “costruito” una storia romanzata che l’associazione culturale “Lanzo è” ha promosso e in parte finanziata.

Dalle nebbie del passato, a nostro parere nebbie non sempre di origine naturale, con il lavoro di Mauro è emersa, a fatica, la figura del personaggio storico e dell’uomo Bonesio, con la sua fede, le sue paure e la sua umanità, ma anche con il suo alto senso del dovere e del suo ruolo oltre che con l’amore per la “sua” Lanzo.

Manca, e non sappiamo come fare – considerato che anche le nostre, personali, richieste di notizie, oltre a quelle di Proci, all’Archivio Vaticano e ad altre sedi sono rimaste disattese o senza risposte – la parte più determinante.

Quando si scopre un importante soggetto del passato “dimenticato”, come si può raggiungere una completa riabilitazione e integrazione storica che porti, non solo i lanzesi, a non dover dire, come da donabbondiana memoria: “Bonesio? Chi era costui?”. E lo sconosciuto di questa storia diventi un riconosciuto, pubblico benefattore (magari dedicandogli una via o una piazza)?

La vita di questo personaggio, a ben guardare, è una storia ricca di fede, di politica, di socialità ed anche… di arte.

Sì, perché a saper ben leggere quella pala del Veneziano vi si possono scoprire – in una libera interpretazione – tante altre cose: la figura del committente Bonesio col saio (o anche di frate Leone, amico di Francesco …), quella dello stesso Pontefice, la casa cappuccina creata sulla collina lanzese, il teschio e la luce divina irraggiata da un Uomo in croce, posti in punti precisi della tela che si intrecciano e si intersecano a formare con la figura del santo poverello di Assisi intriganti e misteriose collisioni. Nessun raggio però (stranamente a nostro parere) colpisce le stimmate!

In uno dei suoi testamenti Bartolomeo aveva scritto: “il mio cuore a Lanzo…”; oltre l’apparenza del dono simbolico si sa che non era inusuale in quell’epoca estirpare fisicamente l’organo in questione e seppellirlo in luogo diverso dal corpo (vedi Luigi XVII). Ebbene, del Bonesio non si è trovato nulla né dell’uno né dell’altro.

Ecco perché i termini intrigo e mistero non ci paiono tanto lontani da questa vicenda; tra l’altro, le attente e puntuali ricerche svolte non hanno svelato neppure il luogo della sepoltura del nostro uomo.

Nella foto: il quadro di Carlo Saraceni

Franco Cortese    Notizie in un click