Manovra nel caos, vince Salvini: Giorgetti sconfessato e Meloni in difficoltà

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La Lega impone lo stop sulle pensioni, ma saltano anche gli sgravi alle imprese. Il Mef prova a rimediare: rischio voto il 24
A stare sul merito si potrebbe dire che, nonostante i lavori siano quasi alla fine, non è per niente chiaro come sarà fatto il bilancio pubblico per i prossimi tre anni: basti dire che un pezzo della manovra, uscito dal testo giovedì all’alba, forse ci rientrerà oggi o forse verrà resuscitato con un decreto a parte entro fine anno.
La notizia, però, è il motivo per cui questa legge si è trasformata in una dilettantesca via crucis per il governo: Matteo Salvini e la Lega hanno costretto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a rimangiarsi le norme sulle pensioni in una guerra, tutta leghista, in cui tra gli sconfitti figurano pure il sottosegretario all’Economia Federico Freni, interfaccia col Senato, e quello al Lavoro Claudio Durigon, fautore di un’operazione pensata per favorire i fondi pensione.
Particolare non secondario: tra le altre cose, giovedì notte è saltata pure la rimodulazione dei fondi per il Ponte sullo Stretto (in realtà un taglio, perché sostituisce soldi veri, cassa, con promesse nel 2033). Si vedrà se alla fine quei fondi resteranno all’opera.
Dettagli a parte, resta la sconfessione politica e la figuraccia tecnica del ministro Giorgetti, sul quale ovviamente s’è buttata l’opposizione: “È stato sfiduciato” (Elly Schlein), “commissariato” (Verdi-Sinistra), “ha perso la faccia” (Matteo Renzi).
Il Pd, per bocca del capogruppo in Senato Francesco Boccia, lo invita persino a lasciare: “È stato smentito su tutta la linea. A questo punto Giorgetti venga in Parlamento e se non è in grado di fare il ministro presenti le dimissioni”.
Improbabile, tanto più che le difficoltà di Giorgetti sono quelle di Giorgia Meloni, che finora ha sempre coperto politicamente il suo ministro dell’Economia e stavolta ha ceduto insieme a lui. Più in generale, l’aria sembra destinata a cambiare nel governo e nella maggioranza: “Forse qualcuno ha scambiato generosità e spirito di sacrificio con mollezza. Da adesso forse sarà chiaro che se la Lega dice no è no”, ha scritto sui social Claudio Borghi, frontman della rivolta leghista.
E Giorgetti? Uomo avvisato eccetera: “Se uno assume un ruolo tecnico, qualche volta perde di vista le questioni politiche”.
Ieri sera all’ora di cena c’è stato il primo vertice del nuovo corso: presenti i tre leader di partito, Meloni, Salvini e Tajani, oltre ovviamente a Giorgetti. La frattura è stata pesante, ma un modo per andare avanti devono trovarlo subito. Il ministro, oltre alla figuraccia, deve risolvere pure il problema di recuperare alcune misure saltate dalla manovra: in particolare gli sgravi fiscali di Transizione 4.0 e della Zes unica al Sud promessi a Confindustria (approvati, invece, la rimodulazione del Pnrr e l’allungamento al 2028 dell’iper-ammortamento per le imprese).
Quanto alle pensioni, tolti dal tavolo i tagli al riscatto della laurea e l’aumento della “finestra” di attesa dell’assegno, non è chiaro se verranno recuperate – in un nuovo emendamento o in un decreto – coperture differenti e il “silenzio-assenso” per dare il Tfr dei neo-assunti ai fondi pensione, norma sparita dal ddl Bilancio e cara a Durigon e alla Cisl, che ieri si lamentava assai.
Al momento sono fuori dalla manovra, ovviamente, anche le coperture per gli sgravi alle imprese saltati giovedì, a partire dall’anticipo del contributo sui premi delle assicurazioni (che vale 1,3 miliardi) e la citata rimodulazione dei fondi per il Ponte sullo Stretto (780 milioni spostati al 2033).
È a partire da qui che va chiarito il casotto attuale della manovra. Toccando le norme sulle pensioni, Salvini ha fatto venir giù il pericolante castello delle coperture costruito tra flussi di cassa (Pnrr, Ponte, etc.) e flussi finanziari pluriennali.
Ora il Tesoro deve trovare un altro modo per pagare sgravi alle imprese e tutto il resto e non è certo che riesca a farlo in tempo per l’approvazione della manovra in Senato (alla Camera non potrà essere toccata, non ci sono i tempi).
Siccome al ridicolo non c’è mai fine, ieri sera il governo ha annunciato di aver risolto tutto: “Arriva l’emendamento finale”.
Poi ci ha ripensato: se ne riparla stamattina. Probabile che il voto finale in Senato slitti al 24 dicembre.
Marco Palombi