Eppure prima o poi arriveremo a inserire le parole “il giorno della marmotta” (= la giornata che ogni volta ricomincia sempre uguale alla precedente) nell’inno nazionale. Oppure a dare a Bill Murray – il protagonista di quel film – la cittadinanza italiana, con tanto di cerimonia solenne. Stavolta è il turno della Rai
Ogni volta che si assiste ad una palese interferenza della politica (con la p minuscola) negli assetti o nella programmazione della Tv pubblica, riparte il solito coro di indignazione sulla necessità di “far uscire la politica dalla Rai”. Tre, quattro giorni al massimo. Poi si passa ad altro. E il “dibattito” ricomincia quando si verifica un’altra interferenza, fatta da quelli che la volta prima si lamentavano della troppa interferenza. Oltre che allo sport nazionale (il giorno della marmotta), tutto questo nasconde anche una colossale ipocrisia. Le forze politiche si lamentano dell’ “occupazione” della Rai solo quando non sono loro a poterne godere i frutti.
Eppure la soluzione ci sarebbe, e c’è sempre stata: 1) vendita al mercato di tutte le reti Rai, tranne una (presumibilmente Rai Uno), che rimarrebbe l’unica assegnataria del servizio pubblico e regolata dal contratto di servizio. 2) per la scelta dei vertici di quella rete, adottare il metodo della BBC nel Regno Unito (sia quella vigente prima del 2016 o, in caso, dopo): attribuire alla Presidenza della Repubblica il potere di nominare o direttamente il Cda o un Trust Board che gestisca le linee strategiche dell’azienda.
Così si salvaguarderebbe il carattere pubblico della rete Rai ma – attribuendolo all’Istituzione “arbitro” del nostro sistema – si massimizzerebbero le probabilità di sottrarlo alle curve ultra’ della lotta politica. Nessuno proporrà queste 2 cose (della seconda si fece anche finta di parlarne, quando si discuteva la Legge Gasparri); perché tutti si lamentano dell’ interferenza della politica nella Rai, finché non sono loro ad avere la chance di interferire“.
Lo scrive su Twitter Luigi Marattin, deputato di Italia Viva.



