Aveva 14 anni. Martina Carbonaro non aveva ancora finito le scuole medie, ma aveva già incontrato la violenza mascherata da amore
Il suo corpo è stato ritrovato chiuso in un vecchio armadio, abbandonato come un oggetto scomodo. A toglierle la vita è stato Alessio Tucci, 18 anni, il suo ex fidanzato, incapace di accettare la fine della loro relazione.
La notizia sconvolge, ma non sorprende più. Perché l’amore malato è un copione che si ripete. Troppe volte. Alessio l’ha colpita con una pietra, più volte, fino a ucciderla. Poi ha nascosto ciò che restava della sua presenza. Un gesto brutale, feroce, ma purtroppo riconoscibile all’interno di una spirale relazionale fatta di gelosia, possesso, controllo.
Come psicologa, non possiamo ignorare il dato più evidente: le nuove generazioni stanno crescendo senza gli strumenti emotivi per affrontare il dolore dell’abbandono, la frustrazione, il no. Quando l’identità si costruisce solo nello sguardo dell’altro, ogni rifiuto viene vissuto come un annientamento personale.
Da un punto di vista criminologico, questo delitto si inserisce nel quadro degli omicidi affettivo-relazionali, in cui il bisogno di possesso supera ogni limite e la perdita viene percepita come una minaccia all’esistenza.
Il profilo di Alessio corrisponde a quello di chi non accetta la libertà dell’altro: la sua rabbia si trasforma in violenza, la separazione diventa punizione, e la morte… l’unico modo per “ristabilire il controllo”.
Si parla spesso di intervenire con le leggi, con l’educazione affettiva, con la prevenzione psicologica, con l’ascolto. Eppure Martina è morta. Ancora una volta. Allora chiediamoci: cosa non sta funzionando davvero? E quanto sangue deve ancora essere versato prima che cominciamo ad ascoltare per cambiare davvero?
Dott.ssa Klarida Rrapaj
Psicologa, Criminologa



