Questa volta a Sergio Mattarella il miracolo non è riuscito. Dopo l’apertura della crisi, giovedì scorso, aveva cercato l’ennesima mediazione per evitare il collasso della legislatura.
Aveva respinto le dimissioni di Mario Draghi per “parlamentarizzare” la crisi, cioè spostarla là dove era più naturale che si svolgesse ma anche dove c’era ancora una residua speranza di risolverla. Perché il governo Draghi, fino a ieri, non aveva ancora perso la sua maggioranza.
Draghi si era trovato così costretto ad andare di fronte a partiti con i quali il rapporto si era ormai compromesso. Il piano di Mattarella si è inceppato su un punto cruciale: era pensato per disinnescare i Cinque stelle, che infatti sono subito andati in confusione tra assemblee permanenti e linee confuse, ma ha avuto come effetto collaterale di spingere tutta la destra a rompere.
In effetti, il mancato voto dei Cinque stelle al decreto Aiuti giovedì scorso si era trasformato in una crisi di governo soltanto quando Silvio Berlusconi, seguito subito da Matteo Salvini, aveva chiesto di avviare subito una “verifica di maggioranza”.