Sembra essere già fallito in partenza il proposito della nostra Premier e della Presidente Ursula von Der Leyen di ricreare un clima di solidarietà e di condivisione europea sul modello della lotta alla pandemia da coronavirus e del Recovery Plan
Sebbene vi sia in linea di massima una intesa continentale, a dire il vero tuttora assai teorica, in merito alla necessità, oramai non più ignorabile, che la tutela dei confini marittimi italiani, nel contesto dei rapporti con l’area afro mediterranea, assurga a interesse comunitario UE, deve essere registrato fin da ora il rigetto dei principali Paesi dell’Unione, da Ovest a Est, sia di centrodestra che di centrosinistra, ad aderire a progetti di ricollocazione e ospitalità pro quota dei flussi in arrivo segnatamente sulle coste siciliane.
Una tematica di cui Giorgia Meloni, a capo dei conservatori europei, e il suo vicepremier Antonio Tajani, che a breve incontrerà il presidente turco Erdogan per discutere di strategie di contenimento della rotta balcanica, sono perfettamente consapevoli.
Adesso si tratta tuttavia di comprendere in quale misura, sotto l’aspetto finanziario, la dichiarazione di solidarietà, espressa dalla presidente della Commissione di Bruxelles von Der Leyen – con la nostra Premier a Lampedusa domenica scorsa – si tradurrà in aiuti economici nei confronti dell’Italia su almeno un paio di versanti: il sostegno e l’affiancamento logistico e amministrativo nella gestione degli arrivi dei flussi immigratori, dal punto di vista della velocizzazione delle richieste di asilo e delle verifiche di merito sulla sussistenza dei requisiti degli aventi diritto alla protezione internazionale; e il livello della compartecipazione finanziaria ai piani di espulsione e rimpatrio per clandestini, irregolari, autori di reati in flagranza e non aventi diritto.
Un aspetto, quest’ultimo, non di piccolo conto, se si considera che – in assenza di accordi bilaterali con i Paesi di origine e di transito dei migranti – ogni singola operazione di espulsione e rimpatrio comporta per il bilancio del Viminale, il ministero dell’interno, una spesa fino a 5000 euro.
Lo stesso dicasi in riferimento al potenziamento di quella che era una delle misure centrali della storica legge Bossi Fini dei primi anni Duemila, ossia i centri di identificazione, trattenimento e successivo eventuale rimpatrio, che il governo Meloni ha deliberato di potenziare, con un termine massimo di permanenza in tali strutture prolungabile fino a 18 mesi, nell’ambito del decreto varato nel corso del più recente Consiglio dei Ministri di lunedì 18 settembre.
Il provvedimento deliberato da palazzo Chigi, nella sostanza, stabilisce che gli organi civili e militari dello Stato avranno facoltà di individuare strutture immobiliari e caserme dismesse con l’obiettivo di adibire le stesse a centri per il trattenimento dei migranti in attesa di identificazione e di eventuale espulsione dal territorio italiano.
Si tratta di una linea di indirizzo operativo analoga a quella espressa a proprio tempo dal guardasigilli Carlo Nordio con riferimento alla necessità di reperire ulteriori spazi per assicurare adeguati livelli di detenzione dei soggetti socialmente pericolosi diversificati però per il proprio livello di pericolosità.
Un dato di fatto è comunque certo: la caratteristica della UE come unione intergovernativa di Stati che rimangono sovrani fa sì che, in assenza di modifiche ai trattati originari dei primi anni Novanta dello scorso secolo, ogni provvedimento modificativo e migliorativo della condizione continentale sia rimesso alla prassi contingente. Prova ne sia il rischio del ritorno al patto di stabilità e al fiscal compact nella versione più austera a partire dal prossimo anno. E lo stesso si potrà profilare in riferimento alle politiche immigratorie fino a quando non verrà modificato il trattato cosiddetto di Dublino.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




