MES, LA COMMISSIONE ESTERI DELLA CAMERA VOTA IL DDL SENZA LA MAGGIORANZA. IL GOVERNO NE ESCLUDE PER ORA LA RATIFICA: CONTROPRODUCENTE

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Il Vicepremier e Ministro degli esteri Antonio Tajani: “La questione è politica, non vogliamo un’Europa à la carte dove il nostro Paese debba per forza allinearsi ai voleri terzi e dove si parli di unità e unione solo quando ciò fa comodo a chi ha più margini di bilancio”

Sul Mes, il fondo salva Stati che nella riforma del trattato istitutivo del 2012 diventa altresì fondo salva Banche, la Premier Giorgia Meloni e il suo vice, nonché capo della Farnesina, Antonio Tajani, sono coesi nel ribadire che un provvedimento di ratifica nel nostro ordinamento, a oggi, sarebbe controproducente per l’Italia e non conforme al nostro interesse nazionale. Interesse che è quello rappresentato dalla necessità di giungere a un diverso modello di Unione Europea, che abbandoni l’austerità e rafforzi e migliori sempre di più la via intrapresa a partire dal 2020 con strumenti diversi e non ostili come il recovery fund poi tradotto su base nazionale nel piano di ripresa e resilienza, il Pnrr.

La discussione parlamentare del disegno di legge di ratifica del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, avrà inizio nella giornata di venerdì 30 giugno, a seguito della votazione, alla Commissione esteri della Camera, della proposta di provvedimento nel testo formulato dalle opposizioni, e da queste votato in sede collegiale ristretta senza la partecipazione delle forze della maggioranza governativa.

Il punto di vista delle quali è stato riassunto dalla Premier Giorgia Meloni nel corso delle proprie comunicazioni a Camera e Senato alla vigilia della propria trasferta al Consiglio dell’Unione Europea in quel di Bruxelles: obiettivo e intendimento dichiarato di palazzo Chigi è ottenere quanto meno un rinvio dell’intera vicenda all’autunno, negoziando nel frattempo con le istituzioni comunitarie la possibilità di spuntare maggiori concessioni sui capitoli dell’Unione bancaria e del futuro revisionando patto di stabilità che sia anzitutto di crescita e possa contare su una seria armonizzazione fiscale a partire dalla mutualizzazione dei debiti pubblici futuri, bene augurante a seguito della svolta inaugurata dai 27 Paesi dell’UE in piena prima emergenza pandemica.

Secondo il Vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, il Mes è una (non) soluzione oramai anacronistica, riferibile a un’epoca storica sorpassata dalle sopravvenute problematicità, dai virus all’inflazione esogena causata dalla guerra russa in Ucraina, che impongono una prospettiva diversa dal ritorno alle condizionalità in stile greco; e che devono pertanto consentire a governi come quello italiano di agire con sempre maggiore capacità tempestiva e incisiva sugli effetti potenzialmente recessivi delle politiche monetarie decise a Francoforte dalla BCE e delle quotazioni internazionali delle materie prime ove sfavorevoli all’economia reale e domestica.

Vi è poi un altro dato dirimente: al capitale sociale del fondo Mes, l’Italia partecipa con un avvenuto conferimento di 17 miliardi di euro, che ne fa il terzo contributore più significativo dopo Germania e Francia, e appare quindi assurdo, a maggior ragione nella contingenza attuale, dover subire condizionalità stringenti su risorse proprie in caso di difficoltà involontarie del bilancio dello Stato.

“Al Mes – ricorda Tajani – noi aderimmo perché nello spirito della solidarietà europea, e in quanto convinti europeisti della filosofia delle origini, volevamo dare il nostro contributo alla risoluzione delle crisi che sarebbero potute esplodere nel nostro Continente, per scongiurare la propagazione delle stesse. Successivamente, però, questo fondo si è dotato di un regolamento rigorista la cui applicazione sfugge al controllo del Parlamento di Strasburgo e della stessa Commissione UE. La gestione della più recente fase post pandemica ha dimostrato che soluzioni, nel segno della sostenibilità macro finanziaria e della puntualità delle azioni da intraprendere, sono fattibili e auspicabili con tipologie capaci di mettere in moto l’iniziativa politica e di consentire un conseguente controllo democratico”.

Secondo il titolare della Farnesina, è giunto il tempo di mettere fine a un’Europa à la carte, dove i concetti di unione e unità vengono utilizzati a geometria variabile secondo le esigenze di chi dispone di più margini di bilancio, mentre l’osservanza del rigore deve valere solo per taluni altri, anche quando questa austerità diventa controproducente per gli stessi equilibri economici reali della UE.

Per esempio, come ha ricordato Giorgia Meloni alla Camera di Montecitorio esponendo ai parlamentari presenti le linee guida dell’approccio italiano al Consiglio europeo in corso al palazzo di vetro di Bruxelles, le decisioni della BCE sui tassi di riferimento porteranno a una serie di rincari, a carico di famiglie e imprese, non controllabili dalla politica – la quale non ha per trattato istitutivo della UE alcun potere sulle scelte della Banca centrale di Francoforte – e imporranno ai governi nazionali, dei Paesi più colpiti dal maggior costo del denaro, l’adozione di una serie di misure di politica fiscale che, al pari di quanto fatto per le bollette energetiche, permettano quanto meno in parte di neutralizzare l’onere in eccedenza gravante su cittadini e imprenditori.

Il che, in altre parole, si tradurrà nell’adozione di provvedimenti di compensazione fiscale inizialmente da assumere in deficit, per impedire un aumento delle sacche di povertà e di fallimento viceversa molto più onerose da gestire.

Mentre sull’altro capitolo della sanità pubblica, il ministro della salute Orazio Schillaci ha già sottolineato l’urgenza di reperire ulteriori tre miliardi di euro con cui integrare il fondo sanitario nazionale per scongiurare il rischio di migrazione dei camici bianchi e per assicurare la fattibilità di progetti complementari all’attuazione delle opere di settore previste dal Pnrr, e senza i quali queste ultime sarebbero a propria volta a serio rischio di puntuale realizzazione.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI