Milano bacino di disuguaglianze. Milano, capitale economica, città dinamica, inserita nel cuore dell’Europa, spesso meta ambita da chi cerca un’occupazione, si ritrova, in questa rielaborazione dei dati Inps e Ocse a cura della Camera del Lavoro, in una situazione di disparità sociale che non risparmia nessun ambito. Milano terra di gap salariale, quello di genere, quello anagrafico, quello che impone alle donne di guadagnare meno degli uomini, ai giovani meno degli altri, agli impiegati e agli operai molto meno dei quadri e dei dirigenti. In una spirale sociale che rimescola l’attualità di queste ultime ore.
Confindustria si scaglia contro il reddito di cittadinanza che le ruba – dice – i lavoratori? “In realtà – ci spiega Antonio Verona – 400mila persone, sostanzialmente un terzo degli occupati milanesi, si collocano su livelli di stipendio molto, molto inferiori rispetto ai citati 123 euro di salario medio giornaliero. Molti guadagnano meno della metà di quella cifra, alcuni un quarto. Questa è la zona grigia, quella di chi, lavorando, porta a casa una cifra simile a quella prevista per il reddito di cittadinanza”.
Per lo più, si legge nel notiziario della Camera del Lavoro, “sono lavoratori part time, soprattutto involontario, e spesso dimensionato alle mutevoli esigenze aziendali; lavoro a chiamata e somministrazione fanno da cornice e spesso si intrecciano con i contratti temporanei che alimentano la quota di “lavoretti”, sebbene svolti da laureati o persone in possesso di competenze importanti”.
È l’esercito dei lavoratori poveri, quelli che nei 123 euro della media del pollo cantata da Trilussa, “si strozzano con l’osso” perché la ciccia non finisce mai nei loro piatti. Sono quelli rimasti a bocca asciutta nella Milano da bere, nella quale il bicchiere pieno sono sempre le solite mani a stringerlo.



