Ministri che odiano ministri, i mille veleni nel governo

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I ministri del governo Meloni vanno a braccetto verso il traguardo tanto ambito di diventare l’esecutivo più longevo della storia repubblicana. Ma tra veleni e dissapori, la coabitazione è spesso forzata. E se non è odio personale, è forte incompatibilità di carattere e di visione, resa sopportabile solo dall’esercizio del potere.

La palma di ministero più litigioso nell’estate 2024 va certamente alla Salute. Da mesi è teatro di uno scontro interno: da un lato il ministro, Orazio Schillaci, dall’altro il sottosegretario, Marcello Gemmato. Il primo apprezzato e sponsorizzato dalla sorella della premier, Arianna Meloni, il secondo amico di vecchia data della presidente del Consiglio. In pieno agosto il clima è diventato infuocato. Tanto da far circolare l’ipotesi di possibili dimissioni di Schillaci.

Come è noto, il casus belli è stato nomina nel Nitag, il gruppo consultivo sulle vaccinazioni, di Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle, accusati di aver sostenuto posizioni novax. Proprio sabato è arrivato il decreto di revoca dell’organismo. «Una decisione non concordata», ha fatto sapere la premier Giorgia Meloni, per prendere le distanze dalla decisione del suo ministro. Ma a Schillaci, un tecnico prestato alla politica, aveva provocato un travaso di bile la sola ipotesi di essere accostato ai novax. E allora cosa è successo?

Ci sono due versioni. Quella più vicino al ministro, racconta di una partita gestita proprio da Gemmato, mettendo Schillaci di fronte a un pasticcio già confezionato dal sottosegretario, d’intesa con la potente capo segreteria del ministero, Rita Di Quinzio, molto vicina a Meloni. L’altra versione è che il ministro fosse a conoscenza dei nomi e li abbia avallati senza sollevare problemi. Alla fine la vicenda è stata archiviata con lo scioglimento del Nitag. Ma con la coda di veleni che ha raggiunto palazzo Chigi.

Un fatto è comunque certo: Gemmato vuole ritagliarsi uno spazio più ampio di potere, Schillaci non vuole subire un ridimensionamento. Per il sottosegretario era pronta la promozione a viceministro. Addirittura il governo ha modificato l’organizzazione interna al ministero, rendendo possibile la nomina, prima non prevista. Poltrona apparecchiata per Gemmato, per ora ancora vuota.

Le nuove e vecchie polemiche sui suoi potenziali conflitti di interessi svelate da Domani hanno frenato la sua corsa. Le tensioni si riverberano ovunque. Lampante il caso dell’Agenas, l’agenzia regionale, finita sotto commissariamento.
Almasri della discordia

Ogni intoppo può generare dissapori al livello governativo, insomma. Un altro caso di cronaca, il rimpatrio del generale libico Almasri, ha lasciato strascichi a ogni livello. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dopo il pastrocchio del torturatore rispedito a Tripoli, non vede più di buon occhio il Guardasigilli, Carlo Nordio.

Il titolare del Viminale mastica amaro. Ritiene di aver eseguito le procedure, prendendo atto delle scelte assunte altrove, a via Arenula, dove detta legge Nordio in asse con la capa di gabinetto, Giusi Bartolozzi. Anche il sottosegretario Alfredo Mantovano non ama i pastrocchi di Nordio, e già al tempo aveva sconsigliato la promozione della zarina da vice a capo di gabinetto, senza riuscire nell’intento.

Lui e Piantedosi ora sono coinvolti nel caso-Almasri: alla Camera è arrivata la richiesta di autorizzazione anche sul loro conto. Per la cronaca, il numero uno del Viminale ha all’attivo anche un battibecco in cdm con il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che gli aveva rinfacciato di non aver sciolto il comune di Bari per infiltrazioni mafiose.

Non è solo l’attualità a incidere. Ci sono “storie tese” che vanno avanti da tempo, come quella tra il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il solito Mantovano. Visioni e personalità opposte: irruente e loquace Crosetto, riflessivo e riservato il secondo. Anche la formazione politica e culturale è diversa. E quindi si sono scontrati spesso sulle nomine più delicate. Nei mesi scorsi è avvenuto sull’indicazione del comandante generale dei carabinieri, alla fine l’ha spuntata Crosetto con il generale Salvatore Luongo.

In passato c’era stato un braccio di ferro durissimo sul comandante della guardia di finanza, dove ha prevalso Mantovano, con Andrea De Gennaro. Anche sugli apparati di intelligence è passata di nuovo la linea del sottosegretario. Il prossimo fronte caldo si aprirà sull’ampliamento, anticipato dal Messaggero, dei poteri del ministero della Difesa, che vuole mettere mano sul controllo sulla cybersecurity.

Stefano Iannaccone