Per Pegoraro, infatti, un dialogo schietto, sincero e improntato alla tutela della vita deve coinvolgere «anzitutto i medici impegnati nelle cure palliative, che hanno maggiore esperienza di cura, presa in carico e accompagnamento nella fase terminale della vita. Poi è opportuno il dialogo con le associazioni, il volontariato e tutti coloro che esprimono una presenza della società civile in queste fasi».
Secondo il monsignore, inoltre, «la Chiesa si impegna a promuovere questo dialogo e questo confronto, meno ideologizzato e più attento ai reali vissuti delle persone, che nella stragrande maggioranza cercano sempre di essere curate, anche quando la malattia evolve in modo negativo, ma non vogliono essere abbandonate né vogliono l’accanimento terapeutico». Il punto centrale, dunque, è ricordare che «anche chi sta per morire è una persona che va salvaguardata nella sua dignità, accompagnata e non indotta o favorita ad autoeliminarsi. Non è il suicidio – ribadisce senza mezzi termini Pegoraro – la risposta ai problemi quando oggi abbiamo reali ed efficaci alternative che curano la vita anche di chi muore, la vita anche per chi sta per concluderla».
Il ruolo del sistema sanitario
In questi giorni si è parlato tanto del Sistema Sanitario Nazionale e del suo ruolo, soprattutto dopo che è trapelata la bozza di testo unico per la legge sul suicidio medicalmente assistito che sta per sbarcare in Aula al Senato per la discussione parlamentare. Secondo quella bozza, infatti, il SSN non avrebbe alcun ruolo attivo nel somministrare la morte ad una persona che lo richiede e che ha i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale. Monsignor Renzo Pegoraro nella sua intervista a Repubblica sembra voler rispondere a questo tema quando afferma che «è importante» che il sistema sanitario «dia il messaggio che sempre si prenderà cura e offrirà assistenza ai bisogni della persona, e anche che stabilisca dei limiti su fin dove arrivare, fin dove spingersi, perché c’è anche il mistero del cuore dell’uomo, come affronta certe situazioni quando è malato» specifica il monsignore.
Per Pegoraro, infatti – il linea con le posizioni della Chiesa – è comunque ammissibile voler «sospendere tutti i trattamenti se il paziente lo chiede», ma questo non significa passare all’eutanasia né a procurare, indurre o facilitare la morte di una persona. Al contrario, significa «continuare ad assisterlo anche eventualmente con la sedazione palliativa profonda, che può essere accettata dalla Chiesa e regolamentata dalla legge, e che è competenza dei medici gestirla in maniera personalizzata. Significa – precisa Pegoraro – accettare la morte quasi che un malato possa dire, in certi casi, “lasciatemi andare”, come disse anche san Giovanni Paolo II, e allora viene assistito ed eventualmente aiutato affinché non abbia nessun dolore e nessuna sofferenza».
Suicidio assistito e eutanasia: una sconfitta


