L’epatocarcinoma si sviluppa prevalentemente in persone che soffrono di cirrosi, hanno contratto un’epatite cronica (B o C) o sono affette da sindromi dismetaboliche, e tipicamente si manifesta in stadi ormai avanzati. “L’incidenza dell’Hcc è in calo, soprattutto grazie al fatto che la causa principale della malattia, ovvero l’epatite c, è curabile”, spiega David Sacerdoti, responsabile dell’unità operativa ‘Liver’ dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. Emergono, però, altri fattori di rischio. Il 70-80% dei tumori Hcc si manifestano in fegati affetti da cirrosi, ma sta aumentando la quota dei pazienti in cui questa patologia si sviluppa a partire da cause metaboliche, associate a obesità, diabete e ipertensione. Se i malati di cirrosi epatica sono seguiti e vengono sottoposti a controlli periodici che possono portare ad una diagnosi precoce del tumore, la diagnosi precoce nelle altre tipologie di ammalati è più difficile. La pandemia potrebbe avere, oltre tutto, rallentato le attività di screening. “Purtroppo il Covid ha allungato i tempi del follow up, che viene fatto di solito con una scadenza semestrale, con il rischio di trovarsi ad affrontare un tumore in stadio più avanzato con, di conseguenza, una mortalità potenzialmente più alta”, ammonisce Luca Frulloni, direttore dell’unità operativa di Gastroenterologia. Di qui, la necessità di strutturare un team multidisciplinare, proprio per fornire ai pazienti con una patologia così complessa la possibilità di avere un unico punto di riferimento.
“È indispensabile quindi valutare I pazienti in maniera multidisciplinare per la diagnosi, la scelta terapeutica e il follow-up, vista anche l’assenza di test specifici per questa popolazione crescente. A Verona abbiamo un gruppo multidisciplinare che discute la scelta terapeutica nei casi non-facili, con epatologo, chirurgo, oncologo, radiologo, radioterapista, ed è stato istituito un ambulatorio multidisciplinare con epatologo, oncologo, internista, chirurgo”, aggiunge Sacerdoti. Il team definisce il trattamento personalizzato sul paziente, in base alle patologie esistenti o pregresse, alle condizioni e alla morfologia del fegato e del tumore, alle comorbidità, alle riserve funzionali epatiche, alla rapidità di crescita dalla diagnosi, con il supporto di linee guida e percorsi regionali o all’interno della struttura ospedaliera, come succede a Verona. “Gli specialisti parlano con una voce sola con il paziente, il che è molto rassicurante, anche perché non c’è più il rimpallo da uno specialista all’altro”, evidenzia il direttore dell’Oncologia, Michele Milella,che nel corso della giornata di studio ha fatto il punto anche sulle innovazioni terapeutiche, soprattutto nel campo delle immunoterapie. Importante il ruolo della trapiantologia, per quanto il trapianto sia l’ultima opzione terapeutica, quella alla quale si ricorre quando le altre non sono più efficaci. “In alcuni centri, fino al 50% dei pazienti in lista per un trapianto è affetto da epatocarcinoma. Il chirurgo trapiantologo è fondamentale che venga coinvolto in tempi rapidi e che l’indicazione al trapianto del paziente sia fatta il prima possibile”, evidenzia il responsabile dell’usd Trapianti epatici, Amedeo Carraro.
“L’Hcc è una patologia complessa, il cui trattamento medico ha registrato negli ultimi anni significativi progressi. Le numerose possibilità di trattamento, specie nelle fasi iniziali, sono alla base della frammentazione che spesso caratterizza molte realtà, anche in Veneto, nella gestione dei pazienti. Il nostro pensiero, come gruppo, è che la strategia più efficace per curare queste persone sia una stretta e costante cooperazione tra figure diverse”, osserva Alessandra Auriemma, oncologa e membro del team. “L’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona applica da anni un approccio multidisciplinare nella presa in carico dei pazienti e ha creato una vera rete clinico-assistenziale dedicata alle patologie epato-biliari con un ambulatorio integrato e specifici percorsi assistenziali”, ricostruisce la direttrice sanitaria, Matilde Carlucci. “La transizione epidemiologica nel contesto di questa patologia pone l’accento anche sulla prevenzione e sui corretti stili di vita. Fare una diagnosi precoce con intervento tempestivo sulla sindrome metabolica riduce significativamente il rischio di epatopatia cronica ed epatocarcinoma. Obiettivo è creare salute per i nostri pazienti, intesa come benessere, assenza di malattia, riduzione dei costi in sanità, qualità delle cure”, assicura Carlucci. “L’epatocarcinoma è una patologia che ha un impatto significativo, sociale ed economico, non solo sui pazienti ma anche sul loro nucleo familiare.
Di recente la nostra associazione ha condotto una survey per evidenziare bisogni, necessità, problematiche dei pazienti con tumore epatico: è emerso che il 72% dei pazienti ha indicato di avere necessità di assistenza da una o più persone, spesso familiari, e l’8,6% ha spiegato di essere all’oscuro della malattia epatica. Questo quadro mette in luce l’esistenza di pazienti ignari del proprio stato di salute o non adeguatamente informati e sensibilizzati che quindi spesso si trovano a dover affrontare un tumore in stadio ormai avanzato e di difficile trattamento”, conclude Massimiliano Conforti, vicepresidente EpaC.



