“Negli ultimi mesi i medici avevano già scritto la sentenza: Sinisa non ce l’avrebbe fatta

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Io non sapevo se dirglielo. Ho parlato solo con i nostri cinque figli, nessun altro sapeva, neppure mia madre.

Alla fine abbiamo deciso di tenere quella verità solo per noi, per non strappargli via anche l’ultimo filo di speranza. Lui non ci ha mai chiesto se sarebbe guarito: combatteva in silenzio, come ha sempre fatto. Non poteva accettare di arrendersi alla morte. Solo una settimana prima di andarsene mi disse: ‘Sono felice perché ho voi e voglio diventare vecchio con tutti i figli e tanti nipoti intorno.’ Mi è crollato il cuore. Gli dissi: ‘Abbiamo già una nipotina, non è abbastanza per renderti felice?’ E lui, con quel sorriso: ‘Ne voglio tanti, ne voglio una tavolata piena

.’ Quelle parole mi hanno spezzata. Quando è arrivato il momento, eravamo tutti in ospedale. I ragazzi erano nella stanza accanto. Io gli stavo vicino, c’erano sua madre, suo fratello con la moglie, il suo migliore amico, la mia mamma. Ho sentito che il suo respiro cambiava, che mancava poco.

Ho chiamato i figli. Ci siamo stretti attorno a lui in silenzio. Gli tenevo la mano, guardandolo lottare, finché mi è venuto da sussurrargli: ‘Vai tranquillo, non preoccuparti. Ai ragazzi penso io.’ Solo allora ha smesso di combattere. Fino a quel momento, nessuno aveva versato una lacrima. Ci siamo concessi il dolore solo quando lui non poteva più vederci soffrire.” Arianna Mihajlović