Nascono dal legno le “delicate c reature” di Gioacchino Acierno
ROBASSOMERO – Tra i pittori medioevali Giotto è unanimemente considerato il più geniale artista della sua epoca. Alla fine del Trecento (1398) il teorico Cennino Cennini (autore de Il libro dell’Arte o Trattato della pittura) scriveva di lui che aveva “…rimutato il greco in latino, …e ridusse al moderno…”, con l’intento di precisare ed affermare che era palese la coscienza della portata delle sue innovazioni nella pittura.
Ovviamente nel suo piccolo e con le tante, grandi, dovute differenze, l’artista che vi presentiamo oggi opera con una ricerca di innovazione nel suo lavorare il legno quale materia prima principale: potremmo identificare in un classicheggiante e moderno operare sul naturale.
Infatti, i riferimenti ai modelli formali ed ai principi ispirativi della tradizione vengono da lui reinterpretati in chiave contemporanea attraverso ricercate, personali sperimentazioni tecniche e innovativi ricollocamenti.
Questo, cercando di rinnovare lo spazio della creazione tendendo al tridimensionale, promuovendo la rappresentazione delle appena accennate figure e linee secolari di quell’elemento spostandole verso un volume ed una evidenza maggiore e rendendo quelle sembianze da eteree e fluttuanti a volumetriche, concrete, visibili e prospettiche: un bidimensionale che ricerca e tende al tridimensionale, scoprendo talvolta anche novità stilistiche in abbinamento con altri materiali.
Un agire, una disciplina, un’attività, che potremmo definire “teoretica” con quel suo modo radicale di affrontare la ricerca sul valore e sul significato della realtà-materia nella dimensione umana e naturale.
Non è comunque, in concreto, un’originalità creativa nel mondo dell’arte lavorare – oltre la scultura e l’intaglio – col legno, tutti i tipi di legno, ma sicuramente è una diversa, interessante creativo-inventiva forma d’arte, una “reinvenzione”, quella con cui si sviluppa la ricerca estetica, formale e cromatica, simbolica e soprattutto personalizzata di Gioacchino Acierno.
L’arte è la sua compagna quotidiana, nella vita come mestiere e nel tempo per passione, la “sua donna” intesa “toscanamente”. A conoscerlo meglio infatti, ti accorgi che mentre pensa di possederla, dominarla – in momenti più, in momenti meno, ma sempre con trasporto, ed a volte inconsapevolmente – ne è invece stregato e totalmente soggiogato. In questo senso, a conferma, non ha difficoltà ad ammettere che mentre quasi tutti gli artisti tendono a piegare la materia ai loro desideri, fantasie e creatività, lui si piega e si adegua a ciò che trova e vede in questo “compagno di una vita”, il legno, questo elemento prescelto, intuendone a prima vista le possibilità di sviluppo ed assemblaggio.
Legno nobile o di risulta, frammenti o medio-grandi tavole, oggetti rotti ed obsoleti provenienti da un lontano passato destinati al macero o piccoli elementi scartati dalle varie lavorazioni…: tutto questo materiale, naturale o già trasformato dall’uomo, stimola e viene ben letto e intuito nella sua potenzialità da questo restauratore d’arte robassomerese che propone risultati finali unici che danno vita a nuove “delicate creature”, frutto innanzitutto di sensibilità, pazienza e passione.
E “lei”, soggetto-materia lignea bionda o bruna, spessa o sottile, giovane o vecchia, come una moglie fedele amata ed amante gli parla e lo convince spingendolo a creare un nuovo, armonico “corpus” capace di raccontaci nuove poesie.
Così, mentre crea seguendo le sue idee e sensazioni, lei “appare”, improvvisa, indirizzando quei primitivi disegni e obiettivi verso originali orizzonti, in un equilibrio creativo dai mille sapori, sempre delicati, per palati raffinati ed altrettanto sensibili come quello dell’artista, colti e non necessariamente esperti, ma sufficientemente amanti della grande madre natura, i quali, avvicinandosi ad essa la capiscono meglio, oltre il “vedere” dello sguardo, fino alla comprensione profonda col cuore e della ragione.
Nel suo creare, incastrare e cesellare, rimodulare, ricercare ed accostare elementi (a volte con materie diverse come l’argilla o le foglie d’oro e di rame) sempre più vari – quasi a ricercare una perfezione che si nasconde ma che è preesistente nelle cose – la volatilità, il suo immaginario e la fantasia gli sono sempre utili e congeniali.
“L’arte è gestazione, fecondità… la materia naturale detta sempre, a chi sa ascoltare, le sue leggi e regole attuative; compito dell’artista è quello di capire, cogliere e saper combinare con la sua sensibilità e buon gusto quello che già esiste nel grande universo e nel vasto mondo del legno in particolare.
Sia esso mogano, tek, noce o ciliegio, scarti o storici mobili in disuso, l’istinto mi dice subito cosa contiene o nasconde una tavola o un elemento ed io cerco di armonizzali in forme simmetriche opportunamente fuse con le cromie in composizioni di libera lettura, oltre al mio personale gusto. Basta ricordare che pezzi di risulta o nobili, materia povera o assi di alberi importanti, se opportunamente ricomposti possono sfiorare i vertici della bellezza e dell’armonia, oltre l’iconico e il figurativo, informale o astratto apparente, per componimenti non solo appariscenti”.
Non concetti e parole astratte le sue: Acierno non segue codificati e già assodati modelli di comportamento generale ma ispirazioni del momento, “in situ”, ed anche fantasie che nascono lontano dal suo atelier.
Una ostinata e testarda, elegante ricerca continua e “infinita”, la sua, prevalentemente per un godimento privato, un “esprit de finesse” creativo mai pago, sempre alla ricerca di novità nascoste e trascurate a cui gli è difficile porre la parola fine.
Questo artista sta compiendo a nostro avviso un’ascesa a dir poco complessa piena di difficoltà e sacrifici ma anche di quotidiane scoperte e soddisfazioni; ricerca in cui è coinvolto tutto il suo essere che ardisce, osa e sfida con passione questa naturale e complessa materia che è il legno.
Una sfida con la quale ogni momento si confronta – con i suoi ostacoli ideali e tecnici – nella ricerca di una sintesi universale oltre il personale, nel continuo, cangiante rapporto con la varietà del mondo e del vivere e delle sue, spesso solo apparenti, dicotomie.
Un particolare suo sentire che è probabile miri alla creazione di un tipo d’arte che noi identifichiamo e definiamo “charme creativo”, che appaga il buongusto, l’estetica e la bellezza con l’armonica “combine” di forme e colori – lui semplice messaggero e testimone a raccoglierli –, composizioni figlie spontanee dell’universo, che Gioacchino ripropone vitalizzate ed emananti emozioni per appagare “in primis” se stesso, per poi quietare l’insoddisfatto spirito umano, così distratto dal quotidiano, con “novità” che non andrebbero altrimenti godute e che andrebbero perdute per sempre.
Il dialogo continuo tra uomo e natura plasma e modella positivamente nei secoli le creazioni artistiche; ben vengano perciò queste nuove esperienze culturali che valorizzano con fantasia e nuove sensibilità ciò che non è mai un valore fine a se stesso.
Con un doppio, positivo, significato: da un lato, la valorizzazione crea una coscienza collettiva più attenta ai contenuti storico-culturali della natura, esaltandone aspetti poco conosciuti e visibili, accrescendone il valore identitario e quindi la sua maggior tutela; dall’altro può col tempo significativamente arricchire il patrimonio sociale di tutti con nuovi “occhi artistici” che vedendo in modo nuovo scoprono e sanno esaltare alcune delle tante novità rare e preziose della natura ancora tutte da scoprire.
Nella composizione fotografica dell’autore due opere di Acierno: Equilibrio arancione” – carta su tela, 90x60cm, 2024 e “Il Figlio di Dio” – rovere, 49x24cm, 2018.
Franco Cortese Notizie in un click



