L’onda lunga della sentenza di Palermo su Matteo Salvini è l’occasione per il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di riprendere e inasprire il suo conflitto con la magistratura. Lo fa con un’intervista al Messaggero, il quotidiano della famiglia Caltagirone di cui è stato anche editorialista. Gioca “in casa”, Nordio, lo si intuisce già dall’attacco enfatico e simpatizzante dell’articolo (“La scrivania di Togliatti, l’ammirazione per Vassalli (…), le citazioni in latino, i suoi libri sulla Giustizia”). Soprattutto, al ministro viene concesso di dire qualsiasi cosa, senza contraddittorio. Tra cui una lunga serie di amnesie, inesattezze o autentiche bugie.
“Questo processo, fondato sul nulla, non si sarebbe nemmeno dovuto iniziare: e comunque avrebbe dovuto coinvolgere anche Conte, allora presidente del consiglio, come concorrente in base all’art 40 2 comma del codice penale”
La prima argomentazione è talmente bizzarra che è persino difficile da commentare, se non con una domanda retorica: è normale che un ministro della Giustizia sostenga – neanche troppo velatamente – che un’indagine non andava nemmeno avviata se si conclude con un’assoluzione? Da ex pm anche Nordio – ovviamente – è stato protagonista di numerose indagini che si sono concluse con un nulla di fatto.
Sulla responsabilità di Conte, invece, Nordio ignora o finge di ignorare fatti noti. Nei giorni del caso Open Arms la diversità di vedute tra Conte e Salvini era pubblica. Breve riassunto: l’ex premier scrive per la prima volta al ministro leghista il 13 agosto 2019 chiedendogli di far sbarcare almeno i minori e Salvini lo ignora. Due giorni dopo Conte gli invia una lettera formale: “Ier l’altro… ti ho invitato, ‘nel rispetto della normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori’… Ma parlare come Ministro dell’Interno e alterare una chiara posizione del tuo Presidente del Consiglio, scritta nero su bianco, è… un chiaro esempio di sleale collaborazione, l’ennesimo, che non posso accettare”.
“In due casi identici, quello della Diciotti e della Gregoretti, erano state infatti adottate soluzioni opposte, sia a livello politico, negando l’autorizzazione a procedere, sia a livello giudiziario, con l’archiviazione”
È proprio il caso Diciotti che smentisce la teoria di Nordio. In quell’occasione il blocco fu effettivamente condiviso da tutto il governo (a differenza di Open Arms). Infatti Conte, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli si autodenunciarono per essere processati con l’ex ministro dell’Interno e furono indagati anch’essi per sequestro di persona dalla procura di Catania. Furono archiviati dal Tribunale dei ministri perché ciascuno è responsabile dei propri atti e quel blocco l’aveva firmato Salvini. Nordio cita il codice penale, ma è la Costituzione a stabilire che la responsabilità è personale: “I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri” (art. 95).
Tommaso Rodano



