PER IL VOTO ANTICIPATO SPESA PREVISTA DI 400 MILIONI: PRO E CONTRO DEL FUTURO PARLAMENTO A 600

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La legge costituzionale che ha ridotto il numero dei rappresentanti del Popolo non ha previsto alcun meccanismo compensativo volto a garantire e rafforzare il legame tra eletto e territorio d’elezione. In America, questo problema è stato risolto regolamentando la figura del grande elettore e il ruolo delle lobbies, i cosiddetti gruppi di pressione

Quattrocento milioni di euro: è questo, in cifre ufficiose, il conto delle elezioni politiche anticipate del prossimo 25 settembre. Il calcolo deriva dalle stime dei numeri, attualizzati ai rincari odierni, della spesa globalmente sostenuta per ciascuna delle consultazioni generali del 2013 e del 2018.

Un onere che corrisponde, all’incirca, al risparmio lordo quantificato su base quinquennale, ipotizzando cioè una legislatura di durata integrale, come risultato degli effetti della riforma della composizione numerica di Camera e Senato con riduzione da 945 a 600 eletti.

Perché usiamo l’espressione “risparmio lordo”? Perché l’osservatorio dell’università cattolica sui conti pubblici, diretto dal Professor Carlo Cottarelli, ha determinato che, in ragione della composizione dell’indennità di ciascun parlamentare in una indennità lorda imponibile e in un ampio rimborso spese esentasse, allo Stato ritornano – dalla prima voce – le ritenute fiscali e contributive di legge.

Il risultato finale è ovvio: il passaggio da 945 a 600 eletti comporterà che, nel corso dei cinque anni di un normale mandato elettivo, il risparmio netto per l’erario pubblico, ossia per tutti noi, sarà pari a 285 milioni di euro.

Sia chiaro: parliamo di fondi di grandissima utilità sociale a livello micro-economico. Basti pensare che si tratta della stessa somma stanziata dalla Regione Umbria per finanziare il piano di ricostruzione e riqualificazione di 58 edifici scolastici, il che ha la propria importanza, così come la volontà politica di non gravare in misura eccessiva sulle casse dello Stato con voci ulteriori, non meno pesanti ma molto poco conosciute ai più. Deve essere infatti ricordato che l’ufficio di presidenza della Camera dei deputati, sotto la presidenza di Roberto Fico, ha deliberato fino a tutto il 2023 la proroga del blocco di indennità e rimborsi ai deputati, così come la restituzione integrale, a favore del bilancio statale, di tutti e 35 i milioni di euro dell’avanzo di amministrazione del 2020.

Ragionando in termini non meramente di cedimento alla demagogia, la nostra sensazione è che non siano stati soppesati adeguatamente i contro effetti della riforma costituzionale in oggetto. L’elettore si troverà infatti collocato in collegi di cui ignora nella maggior parte dei casi la reale ampiezza: circoscrizioni più ampie nelle quali i comizi elettorali di uno stesso candidato dovranno contemperare interessi di territori magari non omogenei o non coincidenti fra loro. Con la conseguenza, inevitabile purtroppo, che molti aspiranti Parlamentari non recheranno neppure in tutte le località del proprio collegio elettorale (non che prima fossero particolarmente presenti per carità, ma perché aggravare il livello dello scollamento?) e cercheranno di utilizzare al massimo i social media per comunicare con il maggior numero possibile di potenziali votanti.

Il timore, complice altresì la particolare fase stagionale che stiamo vivendo, è che il tasso di astensionismo anziché ridursi possa addirittura aumentare da qui al 25 settembre, anche se speriamo di sbagliare pronostico.

Una osservazione sorge a questo punto spontanea e doverosa: perché la riforma costituzionale sulla composizione numerica del futuro Parlamento si è limitata a considerazioni tanto superficiali, riducendosi a un taglio netto della compagine dei rappresentanti del Popolo senza prevedere degli strumenti specifici, definiti dalle più evolute democrazie occidentali e atlantiche, in grado di assicurare, ovvero di vincolare, il rapporto tra eletto e comunità di elettori? Perché nella medesima legge costituzionale non sono stati previsti i cosiddetti “grandi elettori” e non sono stati posti i principi guida per la regolamentazione del ruolo delle lobbies?

È logico infatti supporre che, a fronte di collegi elettivi particolarmente dilatati per ampiezza, dove l’astensionismo sarà un triste dato di fatto, gruppi di interesse o di pressione, incisivi localmente anche se impossibilitati a organizzarsi su base nazionale, saranno in condizione di determinare il risultato finale in aree importanti del Paese. Un aspetto che il legislatore costituzionale non ha ponderato in misura purtroppo adeguata.

Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI