Perché Meloni canta tre vittorie

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Niente Vae Victis, il centrodestra sceglie (con rare eccezioni) la chiave della vittoria sobria. Ogni dichiarazione è all’insegna della continenza – il successo figlio della concretezza, della coerenza, della serenità, del buongoverno, eccetera – anche se il divario di otto punti tra Francesco Acquaroli e Matteo Ricci consentirebbe fuochi di artificio.

Il secondo mandato conquistato dal candidato di FdI, visto dal mondo meloniano, è la garanzia di superare indenne l’intera tornata delle Regionali: sarà un tre a tre, e va benissimo visto che Campania, Puglia e Toscana non sono mai state considerate contendibili. Va benissimo pure che questo campo largo Pd-M5S resista, non è necessario irriderlo o sabotarlo più di tanto, dal momento che ha fallito l’unica missione che impensieriva: riportare alle urne un po’di astenuti che chissà quali sconquassi avrebbero portato nel rassicurante quadro del momento, dove ciascuno conosce i suoi elettori per nome e cognome.

Ci sono almeno tre sospiri di sollievo, a destra, davanti ai risultati. Il primo è per i numeri di lista, che dal punto di vista di FdI sono da dieci e lode perché non cambia nulla nel rapporto con i soci di maggioranza, entrambi rimasti sotto il dieci per cento. E non cambiar nulla negli equilibri interni è massima garanzia di stabilità a livello nazionale. Si potrà magari concedere il Veneto alla Lega e massimizzare la contropartita (la Lombardia al prossimo giro, qualche ode a Putin in meno?). Si potrà sorridere al possibile successo delle liste Made in Vannacci in Toscana, che tanto dove va, cosa ci fa, come lo assalta il Palazzo d’Inverno? Si potrà ulteriormente lucidare il mito vincente di Giorgia Meloni, capace di farcela anche con un candidato non proprio scintillante, giudicato in grande affanno fino a un mese fa.

Il secondo elemento di conforto arriva dal confronto con le pessime performance del recente passato, che hanno visto cadere uno dopo l’altro i potentati del centrodestra a Genova, in Umbria e in Sardegna. Acquaroli è il secondo governatore di FdI riconfermato dopo Marco Marsilio in Abruzzo, come ha tenuto a precisare Arianna Meloni nella conferenza stampa di ringraziamento. Sottotesto: il pregiudizio che per molti anni è stato il cruccio della destra, giudicata incapace di esprimere nomi di peso sui territori, è rovesciato. In FdI “classe dirigente preparata che quando governa è risolutiva”, dalle altre parti chissà.

Poi, c’è un dato più generale. Il voto archivia il rischio che i disastri internazionali delle destre, il trumpismo da una parte e l’avanzata di Netanyahu su Gaza dall’altra, riportino ai seggi il disperso popolo dell’opposizione e magari facciano scappare qualche elettore di maggioranza. Non è successo, non succederà. Il misero 5 per cento di Alleanza Verdi e Sinistra, i più barricaderi contro la nuova Casa Bianca, e il triste 5, 8 del Movimento Cinque Stelle, il più duro nella denuncia di Israele, segnalano che si può stare tranquilli sul fronte della politica estera: non cambia le scelte elettorali, come quasi sempre è avvenuto in Italia. Il Vae Victis non serve anche per questo.

Avversari così vanno benissimo, non vanno bullizzati, sono l’ideale per una maggioranza che, dopo molti batticuore, da oggi può ricominciare a sentirsi invincibile.

Flavia Perina