Perché tra le condizioni poste dalla Corte Costituzionale dopo il caso di Fabo c’è anche il fatto che il malato in questione deve dipendere da sostegni di trattamento vitale.
Ovvero, strumentazione medica che tiene in vita il paziente ad esempio consentendogli di respirare o alimentarsi.
Cappato ritiene questa condizione “discriminatoria” nei confronti di quei malati che non dipendono da alcun sostegno di trattamento vitale.
Come i malati oncologici.
Ecco perché, stavolta, Cappato ha accompagnato a morire in Svizzera una paziente malata di cancro e si è di nuovo autodenunciato.
Cappato spera che, nell’ambito di un nuovo processo, i giudici italiani possano reinterpretare le condizioni poste dalla Corte Costituzionale e affermare che, anche in questo caso – anche in assenza di dipendenza da tali sostegni vitali – aiutare altri a suicidarsi è legittimo.
L’obiettivo di Cappato è fare in modo che chiunque lo voglia possa uccidersi o essere ucciso a prescindere dallo stato o dall’entità della malattia, e anzi anche a prescindere dall’esistenza stessa di una malattia.
È il cosiddetto “diritto assoluto di morire” come, quando e perché si preferisce.
Se, per qualsiasi motivo, io non voglio più vivere, lo Stato deve garantirmi il diritto di uccidermi o di essere ucciso in modo “degno”, cioè secondo certi protocolli medico-sanitari.


