PIL 2024 SOTTO L’1%, BILANCIO SENZA RETI DI SICUREZZA: NATALE SENZA TREDICESIMA PESANTE

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L’ulteriore caduta del tasso di crescita stimato per il nostro prodotto interno lordo nel prossimo esercizio, e che i principali centri demoscopici internazionali indicano al di sotto del punto percentuale, lascia intendere che il tanto tenuto fiscal compact verrà disatteso pure, e doverosamente, nel corso dei prossimi dodici mesi

Quando il livello del deficit, a fronte del rallentamento del denominatore del reddito nazionale, potrebbe salire addirittura al 6 per cento di quest’ultimo, ossia il doppio del tetto massimo fissato dal trattato di Maastricht; e siccome il debito è notoriamente la somma dei disavanzi, nessuna erosione della montagna dello stesso è da immaginare per il 2024.

È legittimo quindi prevedere che la Commissione europea, in considerazione del momento preelettorale in corso, che culminerà nel prossimo mese di giugno nel rinnovo del Parlamento di Strasburgo – con esiti tutt’altro che scontati sia per l’uno che per l’altro schieramento politico – cercherà di trovare un equo bilanciamento fra la crisi italiana e quella tedesca, trattandosi a tutt’oggi delle prime due economie industriali del vecchio continente sebbene con molte ammaccature accumulatesi nel frattempo fra delocalizzazioni produttive a danno del nostro Paese e fine dell’era del gas russo calmierato per la locomotiva di Berlino.

La riduzione dei ritmi di crescita economica, tuttavia, imporrà soluzioni di politica fiscale che non si limitino alla tassazione, né cedano alla ricerca aggressiva di nuovo gettito erariale, ma contemplino un ragionato utilizzo della leva dell’indebitamento pubblico sul modello del piano anti pandemico della BCE e dello scudo a prova di spread della gestione Draghi dell’Eurotower di Francoforte.

Per dirla alla Giorgetti: la BCE, per quanto non eletta da alcun voto popolare, sarà la convitata di pietra al tavolo a cui verrà scritta la seconda legge di stabilità e di bilancio del Governo Meloni, poiché le decisioni sui tassi di interesse, sul costo del denaro e sulla sottoscrizione di titoli obbligazionari statali, forniranno la cifra relativa ai miliardi che mancheranno all’appello delle politiche economiche e sociali discrezionali necessarie a palazzo Chigi per fare fronte agli impegni elettorali, per salvaguardare la coesione nazionale e per non lasciare a secco il serbatoio della ripresa.

Se un anno fa, sempre in autunno, si ammetteva che la manovra economica per il 2023 sarebbe stata nei fatti monopolizzata dagli aiuti contro il caro bollette, ora tutte le fonti governative sono pressoché corali nel ribadire che il beneficio più tangibile, da ascrivere al 2024, sarà quello relativo alla stabilizzazione dello sconto sul cuneo contributivo per restituire sollievo alle buste paga (e neppure a tutte): il quale però non si estenderà alla detassazione in quota Irpef delle tredicesime.

Un punto quest’ultimo che avrebbe segnato una vittoria della componente di Fratelli d’Italia che, con il proprio viceministro Maurizio Leo, presidia il dicastero del MEF bilanciando il potere del leghista Giancarlo Giorgetti sui cordoni (oramai cordini) della borsa e dirigendo l’orchestra per l’esecuzione della riforma del sistema tributario a oggi a secco totale di decreti attuativi.

Lo scenario più plausibile è quello di una legge di stabilità e di bilancio che concentri i benefici maggiormente tangibili per il popolo dei contribuenti nel corso del prossimo semestre da gennaio a giugno, in maniera da mettere il più possibile al sicuro il governo in quello che, per citare l’America, si configura come una sorta di “middle term”, per quanto anticipato, fra le consultazioni Regionali e quelle Europee: una linea di spartiacque oltre la quale si deciderà se la coalizione in carica potrà proseguire o dovrà cedere il passo ovvero profondamente rinnovarsi.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI