In Senato, dopo le dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini a favore di un recupero delle soluzioni per una pace fiscale totale fino a 30.000 unitari, e le conseguenti repliche dell’ex Premier Matteo Renzi che ha svelato il micro comma sul pignoramento automatizzato dei conti correnti – già approvato dal centrodestra alla Camera dei deputati – la delega fiscale si prepara ad affrontare un dibattito incrociato più rovente delle stesse temperature climatiche esterne
Tanto che viene fondatamente da chiedersi: è mai possibile che una norma simile, destinata a essere recepita e specificata in uno dei decreti delegati che palazzo Chigi – non si sa se il Governo Meloni o chi verrà dopo questo – dovrà varare nei successivi 24 mesi, sia stata votata in maniera favorevole ma inconsapevole da coloro che in campagna elettorale, vincendola ampiamente, promisero che in nessun modo o caso avrebbero infilato le mani dello Stato, in questo caso dell’agenzia delle entrate, nelle tasche e quindi nei conti degli Italiani?
Molto probabilmente, il clima di sconcerto diffuso venutosi a creare in seguito alle puntualizzazioni rivelatrici da parte del senatore e leader di Italia viva Matteo Renzi – il quale non a caso pone l’indice contro Meloni e Salvini, nel tentativo di creare una sponda con Forza Italia – autore dello “scoop” (in realtà noto fin dallo scorso marzo ma passato in sordina poiché di pace fiscale tombale e di guerra alle Entrate non parlava più nessuno) sul prelievo forzoso inserito da Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti e Maurizio Leo tra i principi e criteri direttivi della riforma fiscale; tale clima di sconcerto, dicevamo, farà sì che una simile disposizione verrà stralciata e rimossa dal disegno di legge delega, poiché contraria all’obiettivo di ricreare un contesto di recuperata reciproca fiducia fra apparati statali e contribuenti.
Molto probabilmente, per effetto dei cambiamenti che dovranno essere apportati e che richiederanno, dopo palazzo Madama, un secondo passaggio a Montecitorio, il corpus normativo di cornice per la riscrittura del sistema tributario nazionale dovrà slittare a dopo ferragosto per poter vedere acceso il semaforo verde finale al palazzo Chigi per l’avvio del varo del decreti legislativi. I quali, come prevede la stessa Costituzione italiana, rappresenteranno un passaggio nevralgico per la tenuta del controllo democratico tramite il Parlamento, dal momento che quest’ultimo verrà quasi del tutto esautorato da ogni successivo controllo di merito, potendo esprimere sugli schemi dei singoli decreti delegati soltanto un parere obbligatorio ma per nulla vincolante nei confronti del Governo, del ministero delle finanze e dell’agenzia delle entrate.
Viene pertanto da chiedersi se fosse davvero il caso di generare un clima di allarmismo diffuso, ma fondato, soltanto per il tentativo fallito di fare passare sotto silenzio un comma – anzi, una lettera di esso – palesemente incompatibile con lo spirito liberale ostentato da ampi spezzoni della maggioranza governativa.
Un precetto in conflitto con l’economia reale di 22 milioni di contribuenti raggiunti da 170 milioni di cartelle esattoriali per un cassetto fiscale totale di 1154 miliardi di euro di cui appena 110 realisticamente recuperabili per ammissione stessa del direttore generale delle Entrate, e della Riscossione, Ernesto Maria Ruffini: quindi, se appena il 10 per cento del monte dei crediti erariali accumulatisi in grandissima parte dal 2000 a oggi, viene dichiarato passabile all’incasso, perché tenere in costante e continua apprensione un Italiano di tre, che corrisponde nella pratica alla totalità delle famiglie del nostro Paese?
Lo ribadiamo: si definisca nella stessa delega fiscale una norma transitoria con la fissazione di una aliquota sostitutiva del 10 per cento sull’intero monte dei debiti erariali pregressi. Il vantaggio in tal caso sarà duplice: si potrà incassare in relativo breve tempo una somma equivalente alla metà di un Pnrr – un gettito “una tantum” per assicurare più concreti sostegni di emergenza ai redditi familiari, professionali e aziendali, oltre che per reintegrare i budget di pubblici servizi come la sanità e la previdenza sociale – e si favorirà in via definitiva la riemersione e la ripartenza di una quota molto importante e fondamentale di economia reale diffusa.
Il pignoramento dei conti correnti, oltre a essere contradditorio rispetto al programma elettorale uscito vincente dal voto politico anticipato dello scorso 22 settembre, andrebbe altresì in conflitto con il proposito di incentivare e incoraggiare, attraverso la leva principe fiscale, la mobilitazione del risparmio capillare delle famiglie e delle imprese, giacente appunto presso il settore bancario, verso progetti e programmi di ripresa e rilancio delle produzioni strategiche del sistema Paese e del made in Italy.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




