I trucchi sono più di uno, e sono quelli che “gli stregoni” al governo – e non da oggi – stanno applicando al Pnrr non solo per non perdere le risorse europee destinate all’Italia, ma pure per riorientare un Piano ereditato dai governi precedenti e che a questo diretto da Meloni non piace.
E trucco è anche affermare che è l’Europa a certificare quanto “siamo bravi” visto che abbiamo appena ricevuto i miliardi della settima rata. Vero, fino ad ora abbiamo sempre passato la verifica dei tecnici di Bruxelles sullo stato di avanzamento del Pnrr, ma, e qui sveliamo il trucco, le tappe non erano scandite dalla capacità di realizzazione e di spesa dei singoli progetti e delle singole missioni, bensì dall’implementazione di norme, leggi, regolamenti di accompagnamento del Piano stesso.
Lo stato dell’arte
Manca meno di un anno alla scadenza del Pnrr. A quella data, se non avremo speso tutti i miliardi (quasi 200) a noi destinati e in parte considerevole arrivati, il non speso dovremo restituirlo. Lo stato dell’arte è semplice: a pochi mesi dalla scadenza dei 194,4 miliardi complessivi del Pnrr ne risultano in qualche modo impegnati 159. La differenza è di ben 35 miliardi, cui vanno aggiunti circa 3 e oltre 12 mila progetti dei quali ReGis non è in grado di certificare a che punto è la fase di attuazione.
Preoccupazioni legittime
A esprimere preoccupazioni e perplessità è Luigi Caramia, responsabile Pnrr della Cgil nazionale, che afferma: “Sono proprio i dati pubblicati a confermare le forti preoccupazioni sulla tenuta complessiva del Piano, è molto probabile che una parte molto ampia di risorse, circa 35 miliardi, sia in pericolo. Ma la cosa forse più grave, il rischio vero, è che quei miliardi, per non doverli restituire all’Europa, vengano spostati nel capitolo Difesa che non ha vincoli temporali”. Ed ecco svelato il secondo trucco, che però non è nemmeno tanto nuovo: da quando Meloni è arrivata a Palazzo Chigi, in realtà, saltando da una revisione all’altra del Piano con la scusa di cercare di non perdere miliardi, se ne è via via snaturata la filosofia originaria.
Ridurre i divari?
Si ricorderà: il Pnrr arriva come strategia di risposta alla pandemia economica seguita a quella da Covid, e la ragione della considerevole quantità di miliardi destinata all’Italia era la non lusinghiera constatazione che da noi i divari da ridurre erano, e ancora sono, considerevoli: quelli territoriali, di genere e tra le generazioni. Tanti investimenti, si disse, per una grande infrastrutturazione sociale, ambientale e digitale del Paese. Con un ruolo centrale del pubblico e dello Stato. Scuole, nidi, studentati per universitari, casa e ospedali di comunità, digitalizzazione della sanità, reti ferroviarie e di viabilità cittadina, rigenerazione urbana a partire dalle periferie, energie rinnovabili e mobilità sostenibile, qualificazione del lavoro e occupazione femminile e giovanile, solo per fare alcuni esempi. Ebbene è proprio questa filosofia – che certo non era perfetta ma era un avanzamento – che a colpi di revisioni è stata messa in crisi.
Ambizioni ridotte
È ancora Caramia a sottolineare: “In questi anni abbiamo assistito sostanzialmente a una significativa riduzione delle ambizioni in termini di investimenti pubblici a cui è corrisposto un aumento esponenziale di incentivi alle imprese”. Potremmo tradurre: con uno spostamento dal pubblico al privato. “E per di più – aggiunge il dirigente sindacale – hanno fatto di tutto, nominato commissari, spostato risorse, diminuito il numero di asili, case e ospedali di comunità, derogato norme e alla fine di tutta questa giostra abbiamo una quantità di risorse spese e di pagamenti effettuati che è francamente piuttosto basso”.
Un po’ di numeri
La spesa effettivamente sostenuta, al 31 maggio 2025, è 74,3 miliardi di euro, il 38,22% del totale. Rispetto a febbraio si sono impegnati circa 8,582 miliardi di euro in più, poco meno di tre miliardi al mese. Va peggio sul fronte dei pagamenti che, al 30 giugno 2025, risultavano essere di poco superiori a 70 miliardi, solo 5,63 miliardi di euro in più rispetto al 31 marzo 2025. Ciò significa che, a poco meno di un anno dalla conclusione del Pnrr, non si è riusciti a spendere nemmeno la quota parte di risorse ricevute per Milestone e Target conseguiti dal governo Draghi (prefinanziamento e 3 rate) pari a 85 miliardi di euro.


