Il fondo salva Stati, nel frattempo divenuto pure salva Banche, rimane uno dei principali motivi di contrapposizione fra Roma e la Commissione UE, con palazzo Chigi che punta a farne una leva di negoziato per spuntare clausole più favorevoli sulla futura disciplina del patto di stabilità prima che torni in vigore la versione austera del fiscal compact
Il pagamento della terza tranche del Recovery Plan, atteso per gli inizi di ottobre, consentirà di alleviare le tensioni del bilancio statale italiano sul fronte della cassa, liberando nuovi margini per procedere all’erogazione di attività e servizi legati al programma del Governo Meloni per il prossimo anno, nel quale si dovranno però fare letteralmente i conti con il ritorno in piena cogenza dei vincoli del trattato di Maastricht su deficit e debito in rapporto a un PIL declinante.
A proposito dei parametri contabili della UE, non meno importante sarà la decisione di Eurostat in merito alla casella in cui verrà allocato il superbonus 110 per cento, se in quella del deficit oppure in quella del debito, perché a seconda dei casi verrà determinata la possibilità o no per l’esecutivo di centrodestra di finanziare in disavanzo (ossia a futuro debito) il fabbisogno necessario ad alcune misure e provvedimenti attesi da larga parte dell’elettorato votante, in particolare su sanità, pensioni e lotta ai rincari di benzina e bollette.
L’evolversi delle circostanze sta mettendo in evidenza la sostanziale inutilità dell’atteggiamento del governo italiano che vorrebbe utilizzare la mancata ratifica, della riforma del trattato del Mes, come clava per modificare in senso migliorativo il patto di stabilità escludendo dal computo del fiscal compact le spese per investimenti nei settori prioritari della programmazione comunitaria europea e in quelli funzionali all’attuazione integrativa del Pnrr.
Più facile a dirsi che a farsi, e nel frattempo la sanità pubblica rischia il commissariamento perché non si trovano i 4 miliardi addizionali di euro sollecitati e invocati dal ministro Orazio Schillaci, mentre l’adesione (ancora possibile) del nostro Paese al Mes sanitario ne avrebbe portati in dote 33, di miliardi, in forma di prestito agevolato con ulteriore riduzione dello spread e dell’onere sul debito nazionale.
A naufragare, poi, è anche il proposito della nostra Premier di varare una manovra per il 2024 inizialmente di ordinaria amministrazione, ovvero in buona parte in deficit per mitigare i rischi di impopolarità sopraggiunta, in attesa di conoscere l’esito del processo elettorale di metà giugno per il Parlamento europeo e di “congedare” Paolo Gentiloni come commissario considerato dal duo Meloni Salvini poco sensibile nella difesa degli interessi dell’Italia. Giudizio condiviso dall’ex Premier grillino Giuseppe Conte, che pure lo nominò nel 2019, dopo le considerazioni critiche di Bruxelles sull’impatto negativo del 110 per cento a danno dei nostri conti pubblici.
Un triste paradosso, quello dell’attuale maggioranza di centrodestra: eletta nello scorso settembre con ampio suffragio di votanti per contrastare i rincari di energia e benzina, e per addivenire al superamento definitivo della legge Fornero Monti, si è trovata a dover negare il “fiscal drag”, stabilizzando l’extra gettito Iva e Irpef seguito ai rincari dei prezzi e agli adeguamenti pensionistici e salariali, a ripristinare gli oneri di sistema sulle bollette e a penalizzare i trattamenti previdenziali di anzianità localizzati soprattutto nelle regioni più industrializzate a guida leghista. Non a caso, ora Salvini si gioca quasi tutto in bilico sul futuro ponte dello stretto di Messina.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




