Nel 2024 l’incidenza della povertà è rimasta sostanzialmente stabile nel complesso ed anche per quanto riguarda la sua distribuzione a livello territoriale, per condizione occupazionale della persona di riferimento (ma con un lieve peggioramento per chi è in cerca di occupazione o fuori dal mercato del lavoro senza essere in pensione), per composizione familiare, per età degli individui, per cittadinanza.
Non è una buona notizia. Indica che nonostante la ripresa dell’occupazione e la riduzione dell’inflazione, il forte aumento della povertà generato dall’onda lunga della crisi finanziaria del 2008 e successivamente dal Covid 19 è diventato un fenomeno strutturale. Rimangono in una condizione di grande vulnerabilità non solo le famiglie in cui la persona di riferimento non è né occupata né in pensione, ma anche le famiglie di operai o assimilati, con un’incidenza di povertà assoluta del 15,6% (che sale al 18,7% se sono presenti minorenni), le famiglie con due e soprattutto tre o più figli minorenni, con un’incidenza rispettivamente del 10,6% e 20,7%, e tra le famiglie monogenitore con minorenni (14,4%). Anche l’intensità/gravità della povertà è maggiore tra le famiglie con minorenni rispetto alle altre famiglie in povertà assoluta: 21% rispetto al 18,4%.
Particolarmente colpite sono le famiglie con minorenni straniere, dove l’incidenza della povertà è cinque volte più alta di quella delle famiglie con minorenni italiane – 40,5% rispetto a 8% (ma con grandi divari territoriali, dal 4,9 del Centro al 12,6 del Mezzogiorno). Anche se in numeri assoluti la differenza probabilmente si riduce, se non si rovescia, dato che la popolazione straniera è solo una frazione di quella italiana. Nascere e crescere in povertà assoluta continua a rappresentare un rischio per un numero rilevante di bambini e ragazzi nel nostro Paese, 1,28 milioni, pari al 13,8% di tutti i minorenni, con conseguenze negative per le loro opportunità di vita, ma anche per il futuro tutto di una società che invecchia.
Rimangono intatti anche i divari territoriali Centro-Nord/Mezzogiorno, mentre si conferma che anche nelle regioni settentrionali la povertà assoluta è diventata un’esperienza per una porzione significativa di famiglie, il 7,9%, rispetto al 6,5% del Centro e al 10,5% del Mezzogiorno. Non dipende solo dalla maggiore presenza di stranieri in queste regioni, ma da un costo della vita che rende inadeguati anche redditi da lavoro modesti, ma formalmente non poveri.
I motivi di questa persistenza della povertà sono molteplici: diffusione del lavoro povero, bassi salari, un ancora troppo basso tasso di occupazione femminile specie in alcune aree, unito alla difficoltà a conciliare cura familiare e un’occupazione, costo della vita che in alcuni settori, in primis l’abitare, è andato fuori controllo, mancanza di politiche attive del lavoro degne di questo nome, come ha dimostrato il flop del Sostegno Formazione Lavoro, ma anche la non soddisfacente performance del più ambizioso programma Gol.
Tra i molti dati presentati dall’Istat, accanto alle scoraggianti conferme della persistenza della diffusione e delle caratteristiche della povertà, emerge chiaramente come, accanto all’occupazione e ai salari, la questione abitativa sia cruciale per la diffusione della povertà. L’incidenza è più alta nelle grandi città al centro delle aree metropolitane, dove di norma il costo delle abitazioni è più alto, che nei comuni alla periferia di queste aree o al di fuori di esse. È anche molto più alta tra chi vive in affitto rispetto a chi vive in proprietà. Eppure la questione abitativa continua ad essere ignorata dai governi sia centrali sia locali.
Chiara Saraceno



