Prezzi alle stelle, gli italiani a dieta forzata

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L’Italia si mette a dieta. Ma non lo fa per motivi di salute. Quello che per gli esperti è il crollo a volumi dei consumi «più pesante dalla Seconda guerra mondiale» è figlio di un’inflazione che morde le tasche delle famiglie e svuota i carrelli della spesa

A marzo, l’Istat ha rilevato una caduta degli acquisti dei beni alimentari del 4,9% a volume, eppure a livello di valore c’è stato un aumento – in dodici mesi – del 7,7%. «Sappiamo che molte persone sono in sofferenza per la situazione, ma non possiamo farci nulla», ha detto giovedì pomeriggio da Francoforte la presidente della Bce, Christine Lagarde, annunciando il settimo rialzo consecutivo dei tassi d’interesse. Una stretta che dovrebbe frenare l’inflazione, ma che per il momento ha solo reso più complicato e accidentato il percorso dei cittadini per arrivare a fine mese.

E così, con gli stipendi fermi al palo, per far quadrare i conti si taglia tutto il possibile, persino sulla tavola, con il paradosso che nonostante tutti gli sforzi le spese aumentano. I numeri dell’Istat non fanno altro che certificare come sia proprio l’impatto dei rincari a imprimere un peggioramento delle vendite al dettaglio. Persino mese su mese: a marzo la variazione è stata nulla in termini di valore, ma i volumi sono calati dello 0,3% rispetto a febbraio. Addirittura gli alimentari sono calati dello 0,7%. Ma la corsa dei prezzi è ancora più evidente se il raffronto si allarga fino a marzo 2022: le vendite al dettaglio risultano in aumento in valore del 5,8% ma calano in volume del 2,9%.

Uno scenario che modifica drasticamente anche le abitudini di consumo degli italiani: nel primo trimestre dell’anno il consumo di carne rossa è sceso di oltre il 13%, mentre quello di carni bianche è aumentato del 13%. Il caro prezzi mette in crisi anche la pasta (-11%), i surgelati (-8,8%) e taglia gli acquisti di frutta e verdura (-5,5%) con preoccupazioni crescenti da parte di medici e nutrizionisti. L’aumento del ricorso alle uova conferma come la dieta tricolore sia sempre più povera.

Tra i canali di vendite, vince l’ecommerce con un incremento in valore del 10,3% rispetto a marzo dell’anno scorso, così come la grande distribuzione segna una crescita del 7,8% battendo i negozi di quartiere e i minimarket (+3,5%). Abbastanza perché i consumatori tornino a chiedere al governo misure anti-inflazione. Per il Codacons, «al netto dell’inflazione e considerata la spesa per consumi delle famiglie, gli acquisti calano per 21,8 miliardi di euro annui.

Bisogna calmierare i listini». Assoutenti punta il dito sul caro-cibo e invoca un «decreto anti-inflazione» che rafforzi il ruolo di Mister Prezzi e azzeri l’Iva sui generi di prima necessità. Gli italiani «rinunciano ai generi di prima necessità, riducono la quantità di cibo nel carrello e fanno ricorso ai discount» afferma l’Adoc auspicando che la convocazione della Commissione di allerta rapida sui prezzi, in programma l’11 maggio, sia «l’occasione per approfondire la dinamica inflazionistica che sta bruciando stipendi, pensioni e risparmi».

A chiedere l’intervento del governo sono anche le organizzazioni del commercio con Federdistribuzione che ritiene prioritario tutelare il potere d’acquisto alle famiglie per favorire «la ripresa della domanda interna e garantire stabilità alle nostre aziende e alle numerose filiere agroalimentari del Made in Italy». Confcommercio rimarca come «la variazione tendenziale a volume del complesso delle vendite al dettaglio sia pari, nel primo quarto dell’anno in corso, a -3%. Il che non lascia del tutto tranquilli sulle prospettive a breve dell’economia italiana».

Per Confesercenti «il dato peggiore si registra per i piccoli negozi, con una stima che va oltre il -5% in tre mesi, sempre in volume». E se l’associazione plaude al taglio del cuneo fiscale, mette in guardia dal rischio che sia «insufficiente» se non accompagnato da una riduzione della «pressione fiscale che grava sui lavoratori attraverso una defiscalizzazione degli aumenti retributivi».

GIULIANO BALESTRERI