PROVINCE (RI)ELETTIVE, UN PROGETTO “MISTER MILIARDO”

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Forse, se ci si dovesse interrogare sulla loro efficienza, sarebbe richiesta una risposta, detta all’americana, da un milione di euro, anziché di dollari. A prescindere da quello che potrà essere il livello efficiente raggiungibile, o da raggiungere ai sensi degli obiettivi di legge, il loro ripristino come Enti elettivi a diretta investitura popolare, comporta fin da ora una certezza da un miliardo di euro

A tanto ammontano le risorse che si renderanno necessarie per riattivare Consigli, Presidenze e Giunte che vigevano prima dell’entrata in funzione della discussa legge Delrio, dal nome dell’allora ministro PD dei governi Letta e Renzi. Una norma, è giusto ricordarlo, che abolì l’elezione diretta del presidente e del Consiglio provinciale, trasformando l’ente intermedio fra Regione e Comune in un livello istituzionale dove elettori ed eleggibili (senza indennità) sono i sindaci e consiglieri comunali in carica, nella prospettiva dei nuovi assetti costituzionali, regionalisti e municipalisti, della fu riforma Boschi Renzi poi bocciata dal voto referendario degli Italiani nel fatidico dicembre del 2016.

Adesso, lo scenario evolutivo appare mutato: negli ultimi 6 anni, complici le modifiche intervenute nella programmazione europea, il ruolo delle Province, su capitoli come edilizia scolastica secondaria superiore e viabilità intercomunale, si è rinvigorito; così come si è avvertita, soprattutto fra i sindaci delle municipalità più piccole, l’esigenza di poter disporre dell’assistenza e dell’affiancamento di un livello amministrativo di area vasta, che avrebbe potuto essere la prefettura ma non lo è mai stato, in grado di offrire loro un sostegno tecnico ed esecutivo rispetto alle crescenti incombenze urbanistiche, progettuali, burocratiche. Queste ultime fattesi evidenti con l’avvento del Pnrr.

La reintroduzione delle Province come enti elettivi di primo livello rientra fra le priorità della Lega, in specifico del vicepremier Matteo Salvini e del ministro delle Regioni Roberto Calderoli, con l’obiettivo di rafforzare l’autonomia differenziata, aumentando i centri di delega dalle singole Regioni verso i sottostanti territori di area vasta, e di accrescere la responsabilità politica su interventi come le politiche attive del lavoro, tramite i centri per l’impiego, e gli interventi manutentivi e costruttivi su strade e scuole secondarie dove si gioca un tassello importante delle politiche di occupabilità delle nuove generazioni.

Più prosaicamente e al di fuori dei massimi sistemi, la riattivazione degli enti territoriali intermedi, secondo gli assetti antecedenti la legge Delrio, consentirebbe di ricollocare una quota non trascurabile di personale politico dei vari partiti, estromesso dalla vita parlamentare o regionale, o perché non più eleggibile ai Comuni per raggiunto limite di mandati sindacali, con annesso ripristinato trattamento indennitario a carico sia dei contribuenti residenti nel territorio di competenza, sia della fiscalità nazionale generale.

E siccome nel frattempo, con un decreto firmato dall’ex premier Mario Draghi, gli emolumenti di sindaci, assessori, presidenti di consiglio e consiglieri comunali sono stati ritoccati al rialzo, prendendo come parametro le indennità delle Regioni, è lecito attendersi una nuova ondata di professionisti della politica e relativi portaborse.

Il costo dell’operazione è stato stimato in un miliardo di euro all’anno, che nella prima fase andrebbe totalmente a ricadere sul bilancio statale, sottraendo risorse a interventi per contrastare il rincaro dei mutui e dei generi di prima necessità e per continuare a contenere l’onere delle bollette il cui costo rimane esorbitante per le ridotte capacità reddituali e di risparmio di molte famiglie.

Se è vero che il risparmio pro capite, per abitante, derivato dalla letterale applicazione della legge Delrio, sarebbe secondo alcune fonti corrispondentemente alla rinuncia di meno di un caffè al giorno, in termini massivi e critici viene da chiedersi perché dover vincolare un miliardo di euro dirottandolo a un vasto stuolo di professionisti della politica anziché a interventi industriali, sociali e di potenziamento delle infrastrutture o di integrazione al neo costituito fondo per l’aiuto ai piani di investimento viabilistico dei piccoli Comuni.

Non appare un caso che la via per l’approvazione di un tale disegno di legge, infatti privo tuttora di una versione univoca e condivisa sul piano tanto governativo quanto parlamentare, sia impervia e tutt’altro che popolare agli occhi di famiglie alle prese con una crisi senza precedenti del proprio potere d’acquisto.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI