Che le sanzioni avrebbero strangolato rapidamente l’autocrate dalle mani lorde di sangue. Che gli oligarchi erano furibondi con lui, dopo il sequestro dei loro immensi panfili e a causa delle carte di credito inutilizzabili negli sfarzosi resort di St. Moritz. Che al Cremlino già si cospirava per farlo fuori e che, alla lunga, la resistenza ucraina avrebbe saldato il conto. Ci parlano tuttora di lunghe colonne di blindati russi impantanati. Ci raccontano la cattura dei soldatini di Vlad piangenti che vogliono tornare dalla mamma.
Si ha come l’impressione che sul fronte occidentale, il nostro fronte, nelle informazioni dal teatro di guerra si preferisca ammorbidire i fatti, sfumare l’impatto delle cattive notizie, concentrare l’attenzione sulle indicibili sofferenze inflitte a un popolo fiero da quella belva assetata di sangue. Glissando sulle sconfitte militari dell’eroico Zelensky.
È una sottovalutazione del nemico che parte da lontano. Dai G20 che ancora a ottobre relegavano le tensioni Mosca-Kiev tra le varie ed eventuali. Per poi sperare che il tiranno si accontentasse di incamerare il Donbass. Per poi dirsi convinti che messo di fronte a “sanzioni mai viste”, si sarebbe messo paura (salvo continuare a comprargli il gas finanziando indirettamente l’invasione).
Una tragica partita a dama dove Putin ha sempre una mossa di vantaggio. Chi ne sa più di me sostiene che prima o poi pagherà per intero il conto delle sue efferatezze. È un cadavere che cammina, ci rassicurano. Al momento vediamo un cadavere che corre.
ANTONIO PADELLARO


