La riserva aurea dello Stato, al centro del dibattito nella stesura della legge di bilancio, ammonta a 2.452 tonnellate (fonte Bankitalia), è composta prevalentemente da lingotti, oltre 95mila, ed in parte minore è da monete.
Al cambio attuale, oltre 4.100 dollari l’oncia, dopo mesi di forte rialzo delle quotazioni, circa il 50% nel corso dell’anno, varrebbe più di 270 miliardi.
La Banca d’Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo Monetario Internazionale.
Questo oro costituisce parte integrante delle riserve ufficiali del Paese e ha la funzione di rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e nella moneta. Il possesso del metallo raro costituisce dunque una garanzia di solvibilità della spesa.
L’oro viene custodito per il 44,86% nei caveau della Banca d’Italia, poco meno il 43,29% è a Fort Knox negli Stati Uniti ed in percentuali minori in Svizzera (6,09%) e nel Regno Unito (5,76%). La scelta di collocare i lingotti in più luoghi, oltre che da ragioni storiche legate a dove vennero acquistati, deriva anche da una strategia di diversificazione per minimizzare i rischi.
Perché se ne parla ora?
Perché se ne parla in queste settimane? Un emendamento alla legge di bilancio presentato da FdI, a firma del capogruppo in Senato Lucio Malan, chiede di riconoscere che “le riserve auree gestite dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano”. Il testo è stato valutato ammissibile dalla Commissione Bilancio del Senato.



