Reddito: potere d’acquisto in calo nel 2019, ma il coronavirus non c’entra

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Roma – Il reddito disponibile delle famiglie è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente in termini nominali e dello 0,4% in termini reali di potere d’acquisto. A dirlo è il comunicato stampa dell’Istat riferito all’ultimo trimestre del 2019. Dunque, anche prima della crisi generata dal coronavirus gli italiani non navigavano nell’oro.                                                                                                         Vediamo perché.Il calo del potere d’acquisto

Il reddito in termini nominali segna un calo “dopo la crescita osservata nei primi nove mesi dell’anno”. La riduzione della capacità di spesa “è stata più accentuata – si spiega – per la dinamica positiva dell’inflazione”. Cala anche la propensione al risparmio (-0,1%) delle famiglie rispetto al (8,2%) del trimestre precedente. Una “lieve” flessione, spiega l’Istat, che riflette la diminuzione del reddito disponibile, a fronte di una stazionarietà della spesa per i consumi finali.

Il nostro Istituto Nazionale di Statistica ci invita, però, a guardare anche il bicchiere mezzo pieno. “Nel complesso del 2019 però le voci mantengono il segno più: rispetto al 2018 il reddito segna un rialzo dell’1,1%, il potere d’acquisto dello 0,6% e la spesa dello 0,9%”. Tuttavia, non possiamo fare a meno di notare come si tratta di decimali. Nessuna una vera inversione di rotta. Anzi, le rilevazioni dell’ultimo trimestre ci rivelano come il 2020 difficilmente sarà foriero di buone notizie. Tra le tante incognite l’unica certezza è l’aumento delle tasse.
Sale la pressione fiscale

Secondo l’Istat: “La pressione fiscale è parimenti confermata al 42,4% del Pil, in aumento di 0,5 punti percentuali rispetto al 41,9 del 2018”. Un dato che certo non ci meraviglia. Lo scorso gennaio uno studio della Fondazione Nazionale dei commercialisti rilevava come: “Tra il 2012 e il 2019 la pressione fiscale sulle famiglie ha recuperato solo 0,18 punti rispetto allo shock subito nel 2012, per cui, nel 2019, residuano ancora ben 1,63 punti di incremento dovuti allo shock 2012 (pari a due punti di Pil)”. Rispetto agli altri settori dell’economia, le famiglie hanno sopportato quasi per intero il peso dell’aggiustamento fiscale indotto dalla crisi del debito del 2011. Sono i dati forniti dai commercialisti a confermarcelo. La stretta fiscale per le famiglie è cresciuta in maniera costante: nel 2014 (+0,22%) e nel 2015 (+0,30%), per poi riprendere a ridursi nel 2016 (-0,46 punti) e nel 2017 (-0,17 punti di Pil) fino a stabilizzarsi nel 2018 e nel 2019. Se il 2019 si chiude male con il reddito e potere acquisto in calo, nel 2020 le cose rischiano di andare peggio.
Il tracollo dell’indice Pmi

Il Pmi composito Italia è piombato al minimo storico a marzo a 20,2 punti da 50,7 di febbraio. Questo indice (calcolato da Ihs Markit in base al sondaggio fra i direttori d’acquisto) monitora l’andamento dell’attività manifatturiera e dei servizi. Ovviamente, la causa principale di questo tracollo è stata causata dall’ impatto devastante del coronavirus. Tutta l’Eurozona è stata travolta da questo tsunami. Purtroppo, come rivela l’Agi, l’Italia ha registrato la peggiore performance in Europa nei servizi. Secondo gli analisti ha pesato anche il crollo della fiducia. Per Lewis Cooper, economista di Ihs Markit, “è stato il terziario a guidare il tracollo” dell’attività economica nel nostro Paese “anche se entrambi i settori hanno riportato cali record della produzione”. C’è da dire che siamo stati la prima nazione a chiudere tutte le attività. Quindi, non è detto che nei prossimi mesi manterremo questo triste primato. Purtroppo, però, i mali della nostra economia non sono solo ascrivibili al Covid-19.

Pertanto, è necessario una cura shock per uscire dal pantano in cui siamo finiti. Dovremmo fare l’esatto opposto di ciò che sta facendo il governo. Dunque, basta bonus e voucher: le imposte vanno tagliate in maniera definitiva. Inoltre, il sistema ha bisogno di una iniezione di liquidità.

Tuttavia, anche quest’ultima potrebbe non bastare in assenza di una reale sburocratizzazione. Come ha sottolineato la Cgia di Mestre: “Tra i debiti commerciali non ancora onorati (53 miliardi di euro) e la mancata apertura di tantissimi cantieri relativi a infrastrutture strategiche e a opere pubbliche minori distribuite lungo il Paese (per un valore di 62 miliardi), la nostra Pubblica Amministrazione blocca complessivamente 115 miliardi di spesa che sarebbero indispensabili per fronteggiare l’attuale situazione economica”. Finita l’emergenza sanitaria, dunque, bisogna sbloccare i cantieri ed eliminare ogni vincolo che ostacola la crescita della nazione. Solo così l’iniezione di liquidità servirà a far ripartire la nostra economia e far crescere il reddito disponibile ed il potere d’acquisto delle famiglie.

Salvatore Recupero