Sapete qual è la più grande giravolta tra le giravolte di Madame retromarcia Giorgia Meloni?

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Aver promesso di cambiare tutto e non aver cambiato niente.
All’inizio eravamo preoccupati che realizzasse il suo programma, con le sue riforme divisive, i suoi proclami identitari, le sue crociate contro l’immaginario nemico del “sistema”.
Oggi abbiamo la preoccupazione opposta: che non faccia nulla.
Che si sia talmente affezionata alla poltrona da decidere di non rischiare più nulla pur di conservarla.

Il problema è che questo immobilismo avviene nel momento peggiore possibile: in un tempo di cambiamenti rapidi e profondi.
C’è una crisi demografica senza precedenti, con un’emigrazione crescente che non riguarda più soltanto i giovani, ma intere famiglie che lasciano l’Italia.
Le pensioni sociali aumentano, è l’effetto di un impoverimento generale che nessuna manovra del governo sembra voler affrontare.

Ci sono momenti in cui la politica dovrebbe avere il coraggio di guardare oltre l’orizzonte, e altri in cui preferisce limitarsi a sopravvivere.
La manovra del governo Meloni appartiene a questa seconda categoria.
Non c’è visione, non c’è direzione, non c’è un’idea di Paese.
C’è solo la paura di muoversi, per non sbagliare.
Ma restare fermi, in economia come nella vita, è la forma più grave di declino.

L’Italia si sta restringendo: demograficamente e produttivamente.
Meno nascite, meno forza lavoro, meno crescita.
E non basteranno bonus e slogan a invertire la rotta.
I giovani non fanno figli non per egoismo, ma perché non vedono un futuro che li regga: il lavoro che trovano è precario, mal pagato, senza prospettive.
È il paradosso di una generazione che ha vinto la battaglia contro la disoccupazione solo perché ha perso quella della speranza.

Un ventenne su otto oggi è povero pur lavorando.
Gli affitti nelle città dove si trova un impiego sono aumentati del 40% in cinque anni: l’autonomia giovanile non è un traguardo, è un privilegio.
E il governo continua a ignorarlo, come se il problema potesse risolversi da sé, con qualche detassazione spot o l’ennesima misura “una tantum”.

Sul fronte della produttività, la situazione è altrettanto desolante.
Negli ultimi due anni il valore di ciò che produciamo per ora lavorata è diminuito.
Le imprese guadagnano e sono surclassate dalle tasse, i lavoratori non partecipano nemmeno ai guadagni.
Un dipendente genera 90 mila euro di valore l’anno e ne percepisce appena la metà.

La verità è che questa manovra non affronta nessuna delle grandi sfide del Paese: non quella demografica, non quella della produttività, non quella dell’innovazione.
Solo manutenzione ordinaria, in un Paese che avrebbe bisogno di una rivoluzione ordinata.

Il ministro Giorgetti potrà anche vantarsi di avere i conti in ordine, ma un bilancio sano non serve a nulla se la casa è marcia nelle fondamenta.
E oggi la casa Italia scricchiola per la noia, per l’immobilismo, per la paura di scegliere.

Servirebbe una politica capace di immaginare un futuro e di renderlo credibile.
Una proposta di cambiamento che non venda illusioni ma costruisca fiducia.
Finora il governo Meloni ha scelto la strada del “non fare per non sbagliare”.
Ma a forza di non fare, l’Italia rischia di scomparire dal tracciato della crescita europea.

Quando gli altri Paesi torneranno a correre e noi avremo perso la spinta del Pnrr che si esaurirà nel 2026, saremo ancora lì, fermi al palo a domandarci come abbiamo potuto confondere la prudenza con la paralisi.